Uomini o macchine? IL CACCIATORE DI ANDROIDI, di P.K. Dick
Il cacciatore di Androidi: da molti considerato una grande opera in cui filosofia, fantascienza e sentimenti umani vengono mischiati e mescolati fra loro. Questo romanzo, candidato anche per il Nebula Award come miglior romanzo Science Fiction del ‘69, è meglio conosciuto come “Blade Runner” (dal titolo del fortunato film di Ridley Scott che ne è stato tratto nel 1982) oppure “Ma gli androidi sognano pecore elettriche?” (da titolo originale Do Androids Dream of Electric Sheep?) ed è stato scritto da Philip K. Dick nel 1968. Il tema principale del libro riguarda il rapporto uomo-macchina e la differenza sostanziale tra l’uno e l’altra.
In un mondo post-apocalittico distrutto da una guerra nucleare, il protagonista Rick Deckard è un cacciatore di taglie di San Francisco che si occupa di cercare e ritirare androidi fuggiti dalle colonie extramondo, come quella di Marte, e finiti illegalmente sulla Terra. Un giorno riceverà una chiamata e scoprirà di dover acciuffare 6 degli 8 androidi Nexus-6 scappati dal Pianeta Rosso. Ma questo incarico sarà reso ancora più ostico da tanti dettagli esterni, come l’incontro con i proprietari delle industrie Rosen, dai problemi con la moglie, dalla sua empatia nei confronti delle macchine e infine dal legame che avrà con la cosiddetta scatola empatica (una speciale scatola dotata di due maniglie che, se afferrate, portano un essere umano a vedere la misteriosa figura di Mercer, ritenuta da alcuni addirittura divina, e inoltre di sentire le emozioni, belle o brutte che siano, di tutte le altre persone connesse in quel momento).
Uno dei temi principali che Philip K. Dick voleva trattare in questo romanzo è quello della differenza tra uomo e macchine: quest’ultime, decisamente più intelligenti, sono però sprovviste di empatia e ciò farebbe di loro esseri senza cuore, con caratteristiche disumane, come il non vedere nulla di male nel togliere la vita a qualcuno. Dall’altro lato abbiamo gli esseri umani: meno intelligenti ma con il dono dell’empatia. Eppure l’autore un paio di volte nella storia racconta di come Rick e sua moglie utilizzino uno strumento chiamato Penfield, che permette loro di modificare l’umore. Questo sottolinea chiaramente un pensiero dell’autore: sono le macchine ad assomigliare a noi, oppure siamo noi che a volte somigliamo a loro? Gli esseri umani possono perdere la loro umanità e trasformarsi in “androidi”? Cosa ci distingue da loro?
Un altro aspetto contraddittorio riguarda il lavoro del protagonista: Rick deve essere in grado di uccidere questi robot umanoidi, che di fatto sono esteticamente tali e quali a un comune essere umano. Eppure ucciderli non rende l’umanità di Rick un po’ meno “umana?” E inoltre, se si iniziasse a trattare uno di loro come una persona normale oppure se qualcuno iniziasse a provare sentimenti ed emozioni verso uno di loro, sarebbe giusto o sbagliato?
Le domande all’interno del romanzo sono davvero tant,e ma soprattutto sono quesiti che ci portano a riflettere: se fossimo stati noi al posto del protagonista, cosa avremmo fatto in determinate situazioni? Come avremmo reagito? Non sono solo argomenti fantascientifici, ma vere e proprie domande filosofiche che meriterebbero una risposta da tutti noi: già in questi anni, vengono trattati problemi etici legati all’utilizzo della tecnologia. Basti pensare alle auto a guida autonoma e al The Moral Machine Experiment, ovvero quello che è definito come il più grande studio di psicologia morale mai realizzato: un’intelligenza artificiale che dirige un veicolo da strada senza pilota, nell’ipotetico caso in cui si trovasse a decidere se dover investire un uomo anziano oppure un bambino piccolo (questo nel caso in cui non ci siano ulteriori alternative ovviamente) quali norme etiche dovrebbe seguire? Chi dovrebbe scegliere tra i due? E chi imporrebbe queste regole? Nonostante sembrino argomenti totalmente distanti da noi, riflettendoci un attimo possiamo renderci conto della loro contemporaneità (?).
Infine, un ultimo argomento trattato dall’autore, anche se forse in modo più criptico, riguarda la religione e la fede delle persone: quello che Dick vuole farci comprendere è che secondo lui non è possibile distinguere in modo netto e preciso il bene dal male, e che forse a volte non è proprio possibile distinguere l’uno dall’altro. Anche questo noi lo possiamo vedere tutti i giorni nel mondo e nella vita quotidiana, così come nelle religioni: sembra così facile distinguere bene e male, ma poi effettivamente riusciamo a darci una risposta alla domanda “cos’è uno e cos’è l’altro”?
Da questo romanzo si possono tirare fuori un’infinità di domande e di argomentazioni; alcune sono di pura fantasia, altre sono problemi che riscontriamo nella vita di tutti i giorni o quasi e con cui, tra qualche decennio, potremmo seriamente averne a che fare.
Luca Costantino