UNA STORIA DI AMICIZIA, TRADIMENTI & MALAVITA, un racconto di Gianluca Cosentino
Gianluca Cosentino ci propone una storia a enigma, un racconto da leggere tutto d’un fiato e fino in fondo per provare a risolvere un rebus inatteso, che vi invitiamo a sciogliere commentando il racconto. Non prima di essere passati tra loschi localacci, movimenti cattolici, personaggi poco raccomandabili, sparatorie, legami di sangue, associazioni mafiose, inganni… Insomma: amicizia, tradimenti & malavita.
Correvano gli anni cinquanta, un periodo allegro ma anche pericoloso per vari motivi… e in un certo senso io ero uno di quei motivi.
Quella sera mi trovavo al bar Reginaldo, un postaccio gestito dalla mafia. Più precisamente era sotto il dominio dei 2A: Ambrogio Alfieri e Arnaldo Alfieri, gemelli siamesi famosi per essere importanti boss mafiosi. In quel momento ero seduto al bancone a sciacquarmi la gola, stavo aspettando un amico quando tutto d’un tratto vidi correre Carl (uno dei mie tirapiedi) che gridava: «B!, riunione urgente indetta dai capi!». Quasi dimenticavo, in quel posto le persone più importanti si facevano chiamare con la loro iniziale, era un sistema suggerito dai boss per avere una miglior sicurezza in caso di intercettazioni.
Dopo una ventina di minuti eravamo tutti nel seminterrato ad aspettare l’arrivo dei 2A. Il seminterrato era il nostro luogo di ritrovo, caldo d’inverno e fresco d’estate e, cosa più importante, lontano da occhi indiscreti. Dopo qualche minuto d’attesa i capi fecero la loro comparsa; erano sempre vestiti alla stessa maniera: pantaloni neri abbinati a una giacca nera fatta su misura a causa della loro deformazione. Tornando a noi, entrarono con un sorriso sulle labbra affermando: «Signori, domani sarà un grande giorno, assalteremo la torre Delta».
Per chi non lo sapesse, la torre Delta era una delle quattro torri controllate dal movimento cattolico “Avanti Cristo”, un’associazione di volontariato che nascondeva al suo interno una potente mafia; a causa di quella torre la suddetta mafia aveva un forte controllo sulla zona e questo infastidiva i boss. Per questo motivo avevano deciso di fare un attacco in grande stile.
Dopo la definizione del piano d’attacco ci fu qualche domanda e successivamente i 2A sciolsero la riunione. Mentre salivo le scale per tornare a piano terra pensavo a cosa mangiare per cena quando a un certo punto udii una voce familiare che gridava: «Bob!». Mi voltai e vidi Biagio, un mio caro amico d’infanzia e cugino alla seconda. Come avevo fatto a dimenticarmi che quel giorno aspettavo visite! Quella fu una magnifica serata, eravamo io e lui proprio come ai vecchi tempi. Dopo qualche ora di chiacchiere andammo a casa mia poiché lo avevo invitato a starci per una settimana.
Il giorno seguente era il grande giorno, l’operazione iniziava alle dieci del mattino e, siccome non c’era fretta, mi alzai verso le nove, mangiai con calma la colazione e dissi a Biagio di fare come se fosse a casa sua. Lui mi rispose dicendomi di non preoccuparmi poiché doveva svolgere delle commissioni.
Arrivai sul posto con largo anticipo. Per fortuna non ero l’unico. I capi con l’aiuto di alcuni tirapiedi avevano portato gli armamenti: mitragliatrici Thompson nuove di zecca. A quanto pare i capi ci tenevano molto questa operazione. Il piano era semplice: entrare e uccidere tutti.
A due minuti dall’inizio dell’operazione i miei colleghi iniziarono a entrare a coppie di due nella torre per non dare troppo nell’occhio, dopo tutto il piano terra era adibito alla raccolta di donazioni. Io entrai per ultimo e, appena varcata la soglia di ingresso, vidi qualcuno che non mi sarei mai aspettato di trovare lì: Biagio.
A quanto pare intendeva questo quando parlava di commissioni; era in fila con una busta fra le mani, suppongo che fossero soldi dategli da sua zia Antonella, lei fa sempre beneficenza.
A parte Biagio c’era un altro problema: a una manciata di secondi dall’inizio dell’operazione un uomo che si occupava di prendere le offerte entrò in una porta dietro il bancone. Un attimo dopo, da quella stessa porta, uscirono degli uomini in nero armati fino ai denti. In quel momento i capi aprirono il fuoco e noi li assecondammo; stava avvenendo un pluriomicidio. Quegli omoni erano avvantaggiati dal punto di vista strategico, poiché avevano una copertura, ma d’altra parte noi eravamo in superiorità numerica e meglio equipaggiati.
La battaglia durò una trentina di secondi, ma quando sei sul campo di battaglia i secondi diventano ore. Ce la cavammo con cinque feriti e nessun morto. Tutto il contrario del nostro avversario: contando anche il cassiere che uccidemmo in seguito, ci furono quattro morti e un prigioniero, mio cugino di secondo grado. Biagio…
I 2A stavano per ammazzarlo quando io mi misi di mezzo implorando pietà per lui, ma Arnaldo, uno dei 2A, mi disse: «Conosci le regole, lui è a tutti gli effetti un testimone e noi non possiamo rischiare».
Allora io li pregai di darmi un po’ di tempo; loro si consultarono per un minuto, dopodiché Ambrogio disse: «Siamo d’accordo, ma a una condizione: sarai tu ad ammazzarlo e non solo, ti dovrai occupare dell’occultamento di tutti i cadaveri».
Io non avevo altra scelta e dissi: «Sono d’accordo, ma io non ho la minima idea di come nascondere un cadaveri».
Arnaldo mi rispose: «È facile, dovrai scavare 5 fosse vicino al grande albero del fiume Div, noi andremo a dare un’occhiata verso mezzanotte, quindi resta in zona. Quasi dimenticavo, Non pensare di scappare, Jack e Bobby ti seguiranno». Finita la conversazione andai da Biagio affranto. D’altronde lui non era da meno, sembrava che avesse visto un fantasma. A quel punto mi chiese balbettando: «MmMMma… Ccosa succede?», lo presi per un braccio dicendogli che dovevamo andare; tutti iniziarono a guardarmi male e qualcuno pensava di spararmi, ma i capi dissero che andava tutto bene e fecero un cenno a Jack e Bobby, quei due gorilla sotto steroidi.
Raggiunta casa, Biagio pretese delle spiegazioni e io senza esitare gli dissi tutto: gli parlai della mafia, dei 2A; gli spiegai persino qual era la vera identità del gruppo cattolico Avanti Cristo.
Quello che era avvenuto non era ordinaria amministrazione per nessuno. Anche la polizia riuscì a scoprire le dinamiche dell’accaduto soltanto 3 giorni dopo, e a quel punto la notizia si diffuse per tutti il mondo prendendo il nome di “caso Delta”.
Continuavo a pensare a un modo per salvare mio cugino di secondo grado. Pensavo e pensavo, ma niente, quando a un certo punto aprì bocca Biagio: “Bob, credo di aver trovato un modo per salvarmi” affermò.
Io con curiosità risposi: “Di che cosa si tratta?”
“Diciamo che mi basterà fingermi morto sotto terra”.
“Ma è impossibile! soffocheresti, avresti bisogno di una bara per resistere al peso della terra e di un qualche modo per respirare là sotto, e anche se trovasti tutti il necessario i 2A si accorgerebbero che non sei morto!”
Ma mi sbagliavo.
Non stavo considerando il fatto che Biagio faceva il truccatore a Hollywood. Mi spiegò che con un po’ di trucco si possono fare miracoli, come ad esempio far passare un vivo per morto. Per quanto riguarda la bara e l’areazione non c’erano problemi, quel furfante di mio cugino alla seconda aveva un asso nella manica… Lo scopo principale per cui era venuto nella mia città, era l’acquisto di uno strano aggeggio per il suo capo, un prestigiatore. L’aggeggio non era altro che una bara con un sistema di areazione che serviva per un trucco di magia o qualcosa del genere.
Erano circa le dieci quando io e Biagio uscimmo dal mio appartamento. Avevamo sempre quei due gorilla, Jack e Bobby, che ci seguivano, ma non era un problema.
La prima tappa era la bar-fabbrica Coffee&Coffins, un posto strano; lì dovevamo prendere la bara per il piano, ma servivano due persone per trasportarla. Riuscimmo facilmente a ingannare Jack e Bobby, che addirittura ci diedero una mano. La seconda destinazione era il bar Reginaldo, là dovevamo prendere i cadaveri che Tom aveva chiuso in dei sacchi; poi, con i due gorilla, ci recammo come da programma al fiume.
Giunto al fiume Div iniziai a mettermi all’opera. Dissi a Biagio di mettersi nella bara e io sparai un colpo mancandolo di proposito, in questa maniera i due babbuini la smisero di mettermi il fiato sul collo. Jack e Bobby mi aiutarono pure a scavare le buche, e questo rendeva tutto piú facile. In aggiunta le buche erano vicino alle radici di un grande albero e questo mi dava ombra. Biagio e io avevamo deciso che era più sicuro scavare buche poco profonde, cosicché, qualora io non fossi stato in grado di tornare a liberarlo, mio cugino di secondo grado sarebbe riuscito a uscire dalla bara senza aiuti.
Cinque minuti dopo il completamento dell’opera arrivarono i 2A, con ben quindici minuti di anticipo, piazzandosi dall’altra parte del fiume. Ma c’era qualcosa di strano in loro. Erano freddi e distaccati. Ambrogio, dopo avermi scrutato da capo a fondo, disse: «Hai fatto un ottimo lavoro», e proprio nel momento in cui pensavo di essere salvo udii un suono familiare: BANG! Arnaldo mi aveva sparato dritto in fronte. «…Ma non hai saputo mantenere la promessa».
Credo che loro sapessero che li avrei traditi, ma non potevano prevedere il nostro asso nella manica.
E questa è la fine di un triste racconto: io, B, sottratto alla vita con vicino a me, più o meno sotto le radici del grande albero, le vittime del caso Delta, cioè: Biagio, mio cugino di secondo grado ancora vivo, e 4 del movimento cattolico A.C. anch’essi sottratti alla vita; e infine il fiume Div che divideva tutto ciò dai 2A.
P.S. Voglio dare un indizio a tutti coloro che non hanno compreso il testo a pieno: provate a disegnare l’ultimo paragrafo con lettere, numeri e simboli. Chi avesse compreso il significato intrinseco di questo racconto, lo scriva nella sezione dei commenti… già che ce l’abbiamo usiamola.
Gianluca Cosentino