Tu sei sicuro di non aver niente da nascondere? Tra privacy e sicurezza.
Quanto siamo consapevoli dei rischi in termini di privacy e sicurezza informatica che corriamo ogni giorno? Cosa siamo disposti a cedere e cosa, invece, non vorremmo mai venisse diffuso di ciò che ci riguarda? Anche grazie a Snowden e al “datagate” ormai sappiamo che ogni nostra informazione è merce di scambio. E tu, tu sei sicuro di non aver niente da nascondere?
Dagli anni ‘80 agli anni 2000 abbiamo assistito a un’evoluzione esponenziale del mercato informatico legato a computer, software e hardware sempre più prestanti, con disponibilità maggiori a un prezzo minore, sistemi operativi e programmi più elaborati e user-friendly. Il settore tecnologico legato all’IT si è espanso dalle università e dai centri di ricerca verso le case dei cittadini, i quali hanno iniziato a farne sempre più largo uso per i più svariati motivi: curiosità, divertimento, lavoro, studio, comunicazione. Per un uso, insomma, di massa.
Negli anni ‘90 in più si diffonde internet, diventata presto la prima arma della globalizzazione.
Nel 2007 abbiamo assistito al lancio sul mercato del primo Iphone e nei successivi anni siamo stati partecipi degli enormi progressi della tecnologia mobile. Con l’integrazione di internet e di conseguenza l’accesso ai social network, ai programmi di messaggistica e a un browser, l’espressione “possedere il mondo nelle mie mani” non sembrava più così tanto ridicola. Avevamo tra le mani infatti un mezzo potentissimo, se usato nel modo corretto.
Uno dei punti più controversi ma generalmente meno approfonditi è quanto questi dispositivi siano legati al proprietario e siano ormai una parte di esso e della sua identità, in grado di raccontare molto sulla sua persona. Molti potrebbero chiedersi: “Come?”. La risposta è, banalmente, attraverso algoritmi creati per interpretare dei dati raccolti.
A questo punto bisogna fare una premessa: tutto quello che leggerete di seguito non è basato su un ragionamento teorico, ma espone ciò che in pratica avviene anche in questo momento e pressoché ovunque, ogni giorno. I dati raccolti sono la nostra attività sullo smartphone e computer, i nostri spostamenti, che, combinati con la cronologia, possono far capire in che negozio o ristorante siamo appena stati, con chi ci siamo visti; e poi viene tracciata la frequenza con cui controlliamo un sito internet, quanto tempo guardiamo un video su youtube…
Da tempo gli smartphone offrono la possibilità di essere sbloccati tramite impronta digitale o scanner facciale. Sblocchi il tuo smartphone con un semplice sguardo? Un minuto dopo, una telecamera in un aeroporto o in una metropolitana ti può riconoscere.
Facebook registra lo spostamento del mouse sulle sue pagine e mescola gli eventi a cui partecipi con la tua rubrica per essere più efficiente, e per essere più efficiente servono dati… Facebook non ha speso 19 miliardi di dollari per acquistare Whatsapp, perché 19 miliardi di dollari non sono il valore di un’applicazione gratuita e senza pubblicità che Facebook con i suoi programmatori avrebbe potuto creare in un pomeriggio: tutto quel denaro rappresenta il valore economico di quello che si scrivono oltre 1 miliardo di persone ogni giorno.
Gli algoritmi, avanzatissimi, traducono queste informazioni ed effettuano un‘operazione detta Fingerprinting digitale, la profilazione di un utente di cui le caratteristiche sono uniche e costituite dai suoi gusti personali: musica, video, film, quanto tempo dedichiamo alla ricerca di informazioni, ecc… Siamo impulsivi o prendiamo le decisioni con calma? Quante fonti analizziamo prima di trarre delle conclusioni? In che modo ragioniamo? Tutte queste informazioni servono al solo scopo di prevedere le nostre decisioni.
Queste informazioni vengono condivise dalle maggiori aziende dell’IT, quali Google, Microsoft, Apple con i maggiori governi del mondo.
Parte di questo ci è dato saperlo grazie al caso Data Gate, le rivelazioni di Edward Snowden riguardo all’operato della National Security Agency USA, la NSA (si veda ai link: progetto Prism, XKeyScore, Echelon), e dei maggiori enti di sicurezza mondiali. Sul caso Data Gate si continua a discutere e a dibattere, soprattutto negli Stati Uniti dove sull’argomento non è mai calato l’interesse, tanto che durante la campagna presidenziale è stato chiesto più volte ai candidati di pronunciarsi a riguardo e di esprimere la loro idea su Snowden: sabotatore o difensore della democrazia e diritti civili?
Tutte le volte che si parla di questi argomenti le persone tendono a fare un semplice ragionamento: “Io non ho niente da nascondere, guardate pure”. Personalmente trovo molto strano questo atteggiamento, sia per il fatto che, secondo me, chiunque non voglia difendere la propria libertà di parola e privacy è perché non ha nulla da dire della sua vita e di quel che pensa, sia per il fatto che tutte le volte che una persona mi risponde in modo simile io le rispondo: “Bene, puoi darmi la password di tutti i tuo account e la possibilità di leggere quello che scrivi e sentire di cosa parli al telefono o faccia a faccia con un’altra persona?”. A quel punto la risposta è sempre negativa, e le persone mi ricordano che io non sono un agente di polizia o qualcuno di affidabile.
Personalmente non credo che il nostro mondo diventerà come quello descritto da Orwell in 1984. Però c’è un fattore fondamentale che quasi nessuno tiene in considerazione, il fattore tempo. Molti tendono a scartare l’ipotesi orwelliana perché si immaginano un cambiamento radicale nel giro di pochi anni. In parole povere: un cambiamento visibile che può essere contrastato. Se mai si arriverà ad una dittatura in stile grande fratello, so invece per certo una cosa: nessuno saprà cosa significhi “Grande Fratello”. L’avremo tutti dimenticato.
Nicolò Scalesi