THERESIENSTADT: la città che Hitler regalò agli Ebrei. Un incontro per approfondire
La scuola ci ha dato la possibilità di partecipare a un incontro per il Giorno della Memoria intitolato “Theresienstadt: la città che Hitler regalò agli Ebrei”. E’ stato tenuto da Valentina Ragaini, in quanto storica, direttrice della biblioteca di Arcore e presidente dell’associazione Scibilis.
L’incontro si è svolto online, a causa del problema Covid, tramite Meet ed è stato rivolto a un pubblico di studenti, in quanto questi rappresentano la nuova generazione e quindi quella che dovrà ricordare questo avvenimento nel futuro in modo che non si ripeta.
Gli argomenti affrontati sono stati vari ma erano tutti ricollegabili a Terezin, la città progettata dall’imperatore d’Austria Giuseppe II d’Asburgo-Lorena con il ruolo di città fortezza al centro della Boemia, denominata Theresienstadt (città di Teresa) in onore dell’imperatrice Maria Teresa d’Austria.
La città di Terezin durante la Seconda Guerra Mondiale venne utilizzata come campo di smistamento dei prigionieri ebrei di origine polacca, ciò vuol dire che gli ebrei prima venivano raccolti e poi, da Terezin, venivano trasferiti periodicamente nei campi di sterminio, in particolare al campo di concentramento di Auschwitz.
Sono stati affrontati diversi argomenti, alcuni molto generali, come per esempio la suddivisione delle persone nei campi di concentramento in base alla “categoria” a cui appartenevano, tramite quelli che furono definiti i colori dell’Olocausto: ad ogni persona deportata veniva attribuito un triangolo di colore diverso in base all’appartenenza sociale, o meglio discriminatoria. Gli omosessuali erano rappresentati dal triangolo rosa, gli zingari dal triangolo marrone, gli asociali nero, i politici rosso, i testimoni di Geova viola, i delinquenti verdi e gli emigranti blu. Infine agli ebrei veniva aggiunto un triangolo giallo in sovrapposizione all’altro, che formava la stella di David. L’esperta ci ha anche fornito un’immagine in cui abbiamo potuto vederli meglio.
C’è stata un’informazione che mi ha colpito, a proposito del campo di concentramento di Auschwitz, e cioè quando Valentina ci ha parlato della scritta simbolo di questo campo “ARBEIT MACHT FREI”, “Il lavoro rende liberi”. Oltre al significato della scritta, che già conoscevo, lei ha aggiunto un particolare e cioè che il fabbro a cui era stata commissionata la scritta, che era tedesco e che evidentemente non era d’accordo con le idee del regime ma era stato costretto a farlo, decide di mettere la “B” sottosopra. Sicuramente questa non è stata la cosa più avvincente di tutto l’incontro, però penso abbia un grande significato simbolico: il fabbro a cui fu commissionata la scritta volle lasciare nel tempo un segno indelebile di disobbedienza, che a distanza di anni ancora viene attestata e ci fa capire che non tutti i tedeschi seguivano gli ideali nazisti.
Dopodiché l’esperta è passata a dirci di più, sempre a proposito della città di Terezin.
In Europa si era diffusa l’informazione che Hitler stesse usando questa città come luogo di tortura per i prigionieri. Così nel ’44, quando Eichmann si trovò ad affrontare la visita di controllo della Croce Rossa, pensò di usare Terezin come palcoscenico per realizzare un video di propaganda, nel quale mostrava la vita degli ebrei come se fossero dei privilegiati: i bambini andavano a scuola, mangiavano adeguatamente, stavano all’aperto a giocare e c’erano musicisti che suonavano nelle strade. Era “Terezin, la città che Hitler regalò agli Ebrei”.
Gli spazi vennero sgombrati, puliti i marciapiedi, coltivate aiuole, costruito un padiglione per la musica, 18.500 persone usate come comparse (poi mandate ad Auschwitz) fatte vestire con abiti eleganti (le persone che erano state mandate a Terezin erano musicisti, artisti, scienziati, persone che si erano distinte in qualche campo, erano stati illusi di essere mandati alle terme ed era stato detto loro di portare vestiti eleganti, e di nascosto loro avevano portato anche i loro strumenti musicali). Ilse Weber produsse sessantasei ninne nanne in ebraico, che venivano cantate all’interno del campo per tranquillizzare i bambini e che ad oggi rappresentano delle vere e proprie opere e testimonianze. All’inizio la musica nel campo era proibita, ma quando i tedeschi capirono che costituiva uno strumento utile nel rappresentare un segno di un’umanità, che di fatto non c’era, e quindi nell’allontanare dalla verità la Croce Rossa, fu concessa.
Ovviamente tutto quello che era stato mostrato alla Croce Rossa non era reale, anzi era tutto l’esatto opposto.
A Terezin, nonostante la situazione di degrado in cui i prigionieri si trovavano, si cercava di intrattenere i bambini con giochi e soprattutto si iniziò a far loro scrivere poesie, prose e disegni. Queste testimonianze sono arrivate a noi grazie a una maestra che, quando i tedeschi cominciarono a far sparire le prove, li nascose in una valigia che fu poi ritrovata da un’infermiera. Questa si rese conto dell’importanza di quello che aveva davanti, in quanto in quella valigia aveva davanti la verità, che era in contrasto con quello che veniva usato a livello propagandistico dal regime. Alcune poesie infatti raccontavano proprio della situazione che vivevano gli ebrei o delle violenze disumane che dovettero subire. Queste importanti testimonianze a distanza di anni smentiscono quel video propagandistico.
La poesia “La farfalla” era stata scritta da un bambino che racconta di questo bellissimo giallo che vide in questa farfalla, che fu poi l’ultima che lui vide. Questa farfalla rappresenta il contrasto con Terezin, in quanto lì invece era tutto buio e grigio.
Poi ci sono delle poesie dove i bambini raccontavano di come si erano abituati a trascorrere ore su ore in piedi in fila, ricevendo schiaffi senza alcun motivo per poi essere ripagati con acqua che sapeva un po’ di patata e un po’ di caffè. Queste poesie rappresentano quindi una testimonianza di quello che loro mangiavano una volta al giorno. E non era certo quello che era stato mostrato alla delegazione della Croce Rossa, per quella occasione infatti i bambini erano stati istruiti a dire “Basta sardine, basta sardine”, quando invece non ne avevano mai mangiate.
La delegazione della Croce Rossa rimase affascinata dalle immagini della vita che lì si conduceva e il capo della delegazione, Maurice Rossell, redasse addirittura un rapporto entusiasta di quella città. E anche diversi anni dopo, quando Rossell avrebbe rilasciato un’intervista su quella visita, dove gli si rivelava l’inganno di quel film, non si ricredette su quello che aveva visto, quel rapporto positivo lo avrebbe rifirmato ancora tale e quale.
Parlandoci di tutte queste vicende l’esperta ha voluto farci conoscere meglio il ghetto di Terezin, di cui personalmente avevo sentito parlare poco, e raccontarci le storie delle persone che sono state internate presso questo campo.
Per noi studenti sapere queste cose penso sia veramente importante, primo perché approfondire un argomento che fa parte della storia dell’umanità, a parer mio, è una forma di rispetto verso le persone che hanno patito gli orrori di quel periodo, e secondo conoscere la vita di alcune di queste persone può rappresentare un grande insegnamento per noi che oggigiorno viviamo in un momento dove le discriminazioni esistono ma non raggiungono livelli di gravità così alti, e quindi leggere, guardare film e avere la possibilità di partecipare a eventi di questo tipo può aiutarci a metterci nei panni di chi viene discriminato.
Le nostre valutazioni sull’iniziativa…
Complessivamente tutti gli argomenti trattati mi hanno interessato ma c’è stato un momento particolare che mi ha proprio colpito, cioè quando è avvenuta la lettura delle poesie recitate da alcuni studenti.
In quel momento si era creata un’atmosfera particolare, in cui si sentiva solo la voce del lettore e le parole scritte dai bambini che si trovavano nel campo di Terezin. Non erano semplici poesie, bensì erano ricordi, avvenimenti, ninne nanne che trasmettono un significato e un valore enorme. È stato un momento speciale perché si sentiva l’importanza, la forza ma allo stesso tempo la sensibilità che trasmettevano quelle dolci, tenere poesie.
Dal mio punto di vista l’esposizione della dottoressa Valentina Ragaini è stata molto comprensibile, precisa e piacevole. Le sue spiegazioni non erano pesanti e ha descritto gli argomenti con molta passione e questa sua voglia di raccontare, di coinvolgere tutti gli studenti è stata di grande aiuto, in quanto ti convince ad ascoltare con molta attenzione e con coinvolgimento.
I video, le foto e le poesie secondo me hanno aiutato tantissimo, perché ti permettevano di avere qualcosa di concreto e quindi è stato ancor più commovente, soprattutto le poesie, perché sono state scritte dai bambini e si sa che i ragazzi trasmettono tante emozioni forti.
Infine posso dire che questo incontro è stato educativo, interessante ma principalmente emozionante. Questi sentimenti forti sono dovuti specialmente all’esperta e al suo modo di esprimersi ma anche agli studenti che hanno letto le poesie. Quelle due ore non sono state inutili, anzi sono state utilizzate per un argomento, a parer mio, importantissimo che nessuno dovrebbe dimenticare.
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L’incontro, nonostante sia durato circa due ore, non è stato pesante, anzi l’argomento, per come è stato presentato, ha reso veloce il passare del tempo. Ci sono stati argomenti più interessanti di altri, che ho voluto approfondire ulteriormente, come per esempio le condizioni delle donne che, così come tanti altri, sono state trattate con violenza e ingiustamente e la degradazione a cui sono state sottoposte che le ha portate a non sentirsi più donne. Mi ha quindi particolarmente colpito il libro di Liliana Segre.
L’esperta ha saputo parlare di un tema di tale importanza in modo sensibile ma allo stesso tempo ha cercato di renderlo “normale”, coinvolgendoci e riportando molte testimonianze storiche.
I sussidi utilizzati sono stati vari e penso che sia stato molto d’aiuto per farci comprendere certi fatti collegandoli a oggetti, immagini o disegni, piuttosto che semplicemente ascoltare. Inoltre il fatto che esistano così tanti documenti e testimonianze ci fa prendere atto di quello che è successo e le testimonianze ci trasmettono le sensazioni provate dalle persone che hanno subito quell’orrore.
Penso che questa sia stata un’ottima iniziativa non solo per me ma per tutti. Sicuramente ricordare non ha il solo scopo di pensare alle persone morte ma anche quello di farci capire che le discriminazioni non portano mai a niente di buono e solo informandosi si può cercare di evitare che un’altra volta si ripeta una simile ingiustizia e quindi spero che anche in futuro non si smetta di celebrare la Giornata della Memoria e sarebbe bello che questi incontri siano estesi, oltre che ai bambini e ragazzi, molto di più anche agli adulti.
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Questo incontro è stato molto interessante rispetto a quando avevo trattato questo argomento della Shoah solamente guardando film in classe. La parte più interessante e più coinvolgente è stata quando l’esperta ha permesso ad alcuni studenti di leggere e recitare le poesie.
L’esperta è stata inoltre molto brava, anche per il fatto che ci ha coinvolti raccontando una vicenda che non tutti conoscevano e quindi ha attirato maggiormente l’attenzione. Si è sempre sentito parlare solo ed esclusivamente di Auschwitz, ma mai della città che Hitler, con l’inganno, regalò agli Ebrei. Questa è una cosa che fa riflettere ancora di più sull’innocenza di queste persone, che a causa della loro identità, sono state imprigionate e sterminare ingiustamente.
E’ stato un bell’incontro che mi ha suscitato molti pensieri e mi ha fatto ragionare molto, dovrebbero essercene di più come questi.
Alessandra Ciobotariu, Ilaria Sala, Camilla Villani