Quel che resta dell’ONDA
«Voi dite che in Germania una dittatura non sarebbe più possibile?» È questa la domanda che provoca “l’esperimento sociale” da cui scaturisce L’Onda protagonista del film di Dennis Gansel (Ger. 2008) ispirato al romanzo di Todd Strasser (1981). «Potrebbe accadere di nuovo? Con quali conseguenze?». Quella che segue non è una semplice recensione: il nostro Mattia Falzarano propone una risposta in forma di racconto alla domanda da cui tutto è nato e una prefigurazione di quel che potrebbe avvenire nella mente di chi ha visto l’Onda abbattersi come uno tsunami sulla sua vita.
«L’Onda era tutto per me!», urlava quel pazzo di Tim. Poi lo sparo, ancora parole urlate con disperazione nella voce, e infine… il secondo sparo, quello che ancora echeggia nelle menti di tutti noi dell’Onda.
Un flashback ricorrente, da settimane. Oltre a disturbarmi di giorno mi segue anche di notte, come uno stalker, nei miei incubi, in una versione alternativa ancor più macabra. Spesso sogno di ritrovarmi ancora tra quella folla di camicie bianche e di guardare il signor Wenger, sul palco, muto come un pesce. Terrorizzato e immobile, minacciato da Tim che, armato di pistola, lo tiene sotto tiro con mano tremante. A un certo punto gli spari rompono il silenzio generale e il signor Wenger cade a terra come un peso morto. La folla, il panico, una mandria di bufali impazziti che scappa verso l’uscita. Tim, in preda alla follia omicida, spara anche verso la folla. La pistola uno sputaproiettili impazzito con munizioni inesauribili. Persone che cadono a terra una dopo l’altra. Sangue in tutta la sala. Un colpo mi raggiunge. Cado a terra ansimante. I pochi secondi che mi restano prima di chiudere gli occhi e risvegliarmi sudato nel mio letto mi lasciano guardare la folla di persone, completamente inerme e sdraiata a pancia in giù sul suo stesso sangue. Mentre le mie pupille si chiudono sento un unico e lungo urlo di Tim, che va via via “sfumandosi”, fino a quando non riesco più a sentirlo. A quel punto mi sveglio, sempre terrorizzato, come la prima volta.
«Ehi… Ehi, mi senti?». Stavo proprio ripensando al sogno quando mio padre mi chiamò, scuotendomi la spalla.
«Un altro di quei flashback? Avevi uno sguardo completamente assente»
«Più o meno», gli risposi.
Stavo tirando fuori il cellulare di tasca per guardare l’ora quando una signorina mi chiamò. Questa era alta circa 1.60, bionda, occhi azzurri, con indosso una divisa blu con la scritta “Polizei” in bianco sul retro della giacca.
«Adesso potete entrare, mi segua prego», disse con un sorriso gentile. Mio padre mi aveva accompagnato alla centrale di polizia quel giorno. Gli avevano detto che serviva una testimonianza sul cosiddetto “Fenomeno Onda” da un diretto interessato. Non avevo idea di cosa volesse dire, ma una cosa era certa: dovevo essere lì.
Mi alzai e la signorina mi condusse lungo un corridoio costellato di porte ai lati. L’unica porta non chiusa era quella in fondo. Ed è lì che fui portato.
La stanza si presentava piuttosto spaziosa. Aveva pareti bianche e in mezzo un tavolino di ferro con due sedie l’una di fronte all’altra. Non c’erano dubbi: era la tipica stanza da interrogatori, immediatamente riconoscibile se hai guardato almeno un film o una serie tv poliziesca. Appoggiato al muro sulla mia sinistra c’era un uomo alto circa 1.80, particolarmente robusto, con un pizzetto nero. Non era in divisa e indossava un borsalino.
«Prego, si sieda», mi disse. Mi sedetti e lui si avvicinò tendendomi la mano.
«Detective Batista, piacere», mi disse con una stretta di mano e un leggero accento sudamericano.
Rimase in piedi, adesso non più alla mia sinistra ma davanti a me.
«So che la stanza che ci hanno assegnato non è il massimo, ma ci tengo a precisare che questo non è un interrogatorio, ho solo bisogno che tu risponda a qualche domanda, ok?», mi disse con un sorriso rassicurante.
«Va bene, agent…detective», risposi.
«Allora…» disse con tono distratto, mentre tirava fuori un quadernino per gli appunti e una penna dal suo borsello, «Raccontami come si è formato ed evoluto questo gruppo che ha preso il nome dell’Onda».
Per raccontare il tutto riportai la mente al primo giorno in cui sentii parlare dell’Onda…
Ero nel corridoio della scuola e mi stavo preparando per l’inizio della lezione di autocrazia del signor Wenger. Entrato in classe mi sedetti sulla destra, nella quarta fila di banchi. Dopo circa 5 minuti, tempo necessario per far riempire la classe di studenti, entrò il signor Wenger. Quella prima lezione cominciò con una sola domanda, importante anche per capire i fatti che si sarebbero susseguiti: «Voi dite
che in Germania una dittatura non sarebbe più possibile?». All’inizio la classe era certa che la risposta alla domanda fosse: «Assolutamente no, ne conosciamo le conseguenze», ma il signor Wenger era deciso a smentire le nostre certezze.
Mentre parlavo della prima lezione col signor Wenger, il detective Batista mi interruppe.
«Posso interromperti un secondo?», mi disse mentre scriveva sul suo blocco note.
«Mi dica», gli risposi con un tono fin troppo formale.
«Potresti lasciar perdere la parte delle lezioni col signor Wenger? L’intento dell’indagine che mi è stata assegnata è di capire meglio le dinamiche che si sono create fra voi studenti con l’avvento dell’Onda; apprezzerei se mi raccontassi le tue impressioni a riguardo».
«Oh, come vuole lei», risposi e ricominciai a parlare.
La prima cosa che mi venne in mente era la “divisa dell’Onda”, camicia bianca e jeans. Il primo fattore di “coesione” fra noi studenti dell’Onda. Qualcosa che ci accomunava tutti, che eliminava le differenze, che ci rendeva… uniti, insomma. Ed è proprio l’unità e la coesione che mi convinse inizialmente che quello che stava accadendo era qualcosa di buono. Vedevo degli studenti che erano entrati nella classe di Wenger annoiati e disinteressati uscire dall’aula entusiasti, amichevoli, coesi. In pochi giorni l’Onda si diffuse a macchia d’olio anche al di fuori della classe di autocrazia del signor Wenger. Le camicie bianche che camminavano per i corridoi dell’istituto aumentavano di giorno in giorno, tanto che agli occhi dei genitori degli studenti la “divisa” era diventata una delle nuove mode giovanili. Ma questa moda, diffondendosi, non tardò a rivelare l’altro lato della sua doppia faccia…
Contro questo lato nascosto della doppia faccia dell’Onda, generalmente, andava a scontrarsi chi non accettava la divisa, chi non voleva conformarsi. Le feste dell’Onda erano sempre più frequenti e chi non aveva la divisa non entrava. Gente che prima dell’Onda vedevo spesso nei corridoi accompagnata dal proprio gruppetto di amici lentamente spariva, come se non volesse farsi vedere come “pecora nera” in mezzo a tutte quelle “pecore in camicia bianca”. Addirittura ci fu anche qualche caso di bullismo contro dei “non adepti” ma io, tutto questo, non potevo vederlo. Come non potevano vederlo tutti gli altri studenti che si erano fatti trascinare dall’Onda. Come, soprattutto, non poteva vederlo il signor Wenger. Ma questo fino a un certo punto.
Due episodi in particolare incominciarono a farmi dubitare dell’Onda, a farmi rendere conto che stava diventando un fenomeno pericoloso. Il primo è stato il vandalismo notturno degli adepti, che hanno sparso il simbolo dell’Onda ovunque in città durante la notte. E fu così che l’Onda si guadagnò per la prima volta un posto in prima pagina nei giornali locali. Il secondo episodio è stata la rissa durante la partita di pallanuoto. Io ero lì, sugli spalti, quando scoppiò la violenza. Ero a pochi centimetri di distanza dai coinvolti e per poco non mi presi un cazzotto pure io.
Quest’ultimo episodio in particolare, riguardandomi più da vicino, incominciò a farmi sentire a uncomfortable, come direbbero gli inglesi, in mezzo all’Onda. Scomodo, a disagio, insomma.
Poi venne quel giorno. Il giorno decisivo per l’Onda. Il signor Wenger aveva convocato una riunione straordinaria e, come tutti, ci andai. Entrato nell’auditorium, presi posto in mezzo alla sala. Le porte erano tutte quante sorvegliate e, quando il signor Wenger salì sul palco, vennero chiuse. Il professore esordì sul palco in modo molto autoritario e dominò le folle con una destrezza degna del più affascinante e carismatico dittatore. Non mi pareva vero che stesse facendo tutto sul serio.
«Non posso crederci… ma è impazzito?», pensai fra me e me. E proprio quando mi feci la domanda «Ma cosa vuole fare, ricreare il Terzo Reich?», il signor Wenger fermò la messinscena. Invitò tutti a riflettere su cosa l’Onda era diventata e ricordò a tutti che domanda aveva fatto all’inizio del suo corso di autocrazia: «Voi dite che in Germania una dittatura non sarebbe più possibile?».
Dimostrò così di aver smentito il nostro scetticismo a riguardo, era davvero riuscito a ricreare uno pseudo-gruppo nazista. La folla, da euforica e rumorosa, si era trasformata in muta e imbarazzata. Quasi tutti si sentivano in colpa per quello che era accaduto, ognuno di noi sentiva sopra di sé una fetta di responsabilità. Con questo il signor Wenger dichiarò sciolta l’Onda.
Era la fine di tutto, purtroppo per qualcuno o finalmente per qualcun altro. Tuttavia, uno di noi non avrebbe accettato la cosa. Per lui era un: «Assolutamente no, l’Onda non muore oggi e non morirà mai, io non lo accetto». Quel qualcuno era Tim, il pazzo armato di pistola che ha sparato quei colpi che mi tormenteranno per sempre, e con me tutti quelli dell’Onda.
«Mmh sì, ormai questa storia è stampata nella mia testa, con tutti quei giornalisti che ne hanno parlato per giorni», borbottò il detective mentre scriveva.
Dopo qualche secondo mi guardò, leggermente imbarazzato.
«Con tutto il rispetto, eh!».
«Non c’è problema, si figuri!», gli risposi sorridendo.
«Bene bene, sei stato più che esaustivo per quanto mi riguarda. La tua testimonianza ci sarà utile, ti ringrazio», mi disse il detective.
«Ottimo, quindi è finita qui?»
«Esatto ragazzo, puoi andare adesso»
Mi stavo per alzare quando il detective mi chiese:
«Ah, un’ultima domanda. Dopo quanto accaduto, pensi che una rifondazione del Terzo Reich sia possibile qui in Germania?»
«Semplicemente credo che le persone siano facilmente plasmabili al volere di un leader forte e carismatico, tutto qui. Per me è questo il fattore centrale che ha portato alla creazione di ogni dittatura e anche all’Onda».
«Ottima riflessione, la terrò a mente. Ora puoi andare, per davvero» Mi rispose.
Mi alzai dalla sedia e mi avviai verso l’uscita dalla stazione, dove incontrai mio padre che mi stava aspettando.
«Spero non dovrai tornarci per motivi legali in questo posto, figlio mio», mi disse mio padre mentre entravamo in macchina.
«Non ti fidi abbastanza di me?», gli risposi a tono.
Lui mi sorrise scherzosamente, mentre metteva in moto la macchina.
Guardai il telefono e mi sorpresi di quanto tempo fosse passato da quando ero entrato. Poi mi tornò per l’ennesima volta in mente tutto quello che era successo intorno all’Onda. Chissà come se la passa il signor Wenger in cella, pensai fra me e me.
Ma in quel momento preferivo non pensare. Presi gli auricolari dalla mia tasca destra, infilai il jack nel telefono e feci partire In Bloom dei Nirvana, lasciandomi alle spalle la stazione di polizia.
Mattia Falzarano