Quando l’immaginazione incontra la cultura. IL NOME DELLA ROSA, di Umberto Eco
In tempi di inattività forzata da coronavirus, non possiamo non proporvi un ottimo antidoto alla noia e alla paura: la lettura. E cosa di meglio di un grandissimo romanzo capace di catturare e appassionare il lettore in innumerevoli e smisurati livelli di lettura?
Umberto Eco non ha scritto questo libro ponendosi come scopo quello di presentare e ricostruire l’ambiente medievale per i suoi lettori, bensì si è spinto parecchio oltre, calandosi completamente nell’epoca nella quale si svolge la vicenda, generando in tal modo un capolavoro della letteratura italiana, frutto di una passione sconfinata e di un lavoro spropositato.
In questo magnifico romanzo ogni cosa è stata progettata con una cura quasi maniacale, per essere poi riportata con altrettanta precisione. Ogni ambientazione, ogni personaggio, ogni dettaglio viene infatti approfondito con passione, cura e con una scelta più che adeguata delle terminologie utilizzate. Tutto con lo scopo di trasportare il lettore indietro nel tempo, immergendolo in una realtà assai diversa da quella che stiamo vivendo oggi.
Fin dalle prime pagine si nota un linguaggio molto ricco e scorrevole. Il ritmo è costante dall’inizio alla fine, anche se proseguendo con la narrazione l’interesse e l’immedesimazione tendono ad aumentare (in particolare modo nel finale), il che rende quasi naturale per il lettore provare un sentimento d’affetto nei confronti di alcuni personaggi, arrivando persino a provare le loro stesse emozioni.
L’enorme bagaglio culturale di Eco trasuda da ogni pagina, specialmente dalle molteplici citazioni e dai ragionamenti contenuti nei dialoghi.
Come è noto, l’intera vicenda ha luogo in una abbazia. Quest’ultima viene descritta (ed effettivamente dimostra di essere) come un vero e proprio organismo, dove ogni compito è affidato a un personaggio, molto ben caratterizzato. Alcuni tra questi celano però un passato oscuro e misterioso. Ed è in questo clima che i due protagonisti (Adso e Guglielmo) si ritrovano a indagare su alcuni misteriosi avvenimenti, racimolando nuovi indizi giorno dopo giorno, risalendo faticosamente alla verità, nonché all’identità del responsabile dei delitti che scuotono l’abbazia e di cui nessuno sembra conoscere pressoché nulla.
Reputo questo libro uno dei migliori (se non il migliore) che mi sia mai capitato tra le mani, anche solo a fronte dell’impegno e della dedizione dell’autore. È quasi superfluo affermare che il finale, costruito dopo più di cinquecento pagine, ha saputo regalarmi emozioni che qualsiasi altro libro non era mai riuscito a trasmettermi prima d’ora. Un esempio lampante risiede in quel senso di ansia che affiora lentamente, e che continua a crescere nella mente del lettore anche dopo le rivelazioni conclusive. La cosa che però il libro trasmette con più efficacia è la sensazione di “trappola”, che viene a crearsi con lo svolgersi degli eventi delittuosi, i quali non accennano a placarsi e risultano quasi illogici e sconnessi l’uno dall’altro. Agli occhi dei protagonisti tutto ciò assume un aspetto quasi sovrannaturale, fatto che infonde non poca curiosità nel lettore.
A causa della ricchezza stratificata del testo, sono consapevole di non essermi goduto a pieno l’esperienza di tutti i piani di lettura che questo libro offre, nonostante mi sia ripetutamente sforzato di prestare quanta più attenzione possibile ai numerosissimi dibattiti condotti dai personaggi sulla realtà dell’epoca, costruiti anch’essi in modo ammirevole. “Il nome della rosa”, è indubbiamente uno di quei romanzi che si adatta ad ogni tipologia di lettore e che, comunque lo si legga, è in grado di soddisfare pienamente qualunque aspettativa.
Michele Santospirito