Omicidio a Cavenago
Dopo 77 anni, impolverato, tra le pratiche dell’immediato dopoguerra deposte nell’Archivio Storico di Cavenago di Brianza, un fascicolo ci riporta a una delle più tristi pagine affrontate dalla comunità cavenaghese, ossia il secondo conflitto mondiale, e a un avvenimento macabro a esso legato, frutto della politica del cosiddetto “pareggio dei conti”.
Negli ultimi giorni di occupazione tedesca e nello stesso 25 aprile, le vie del paese furono pesantemente battute dal fuoco nemico. I militari tedeschi, muniti di autoblindi e di carri armati, risalendo dal ponte di Cambiago entravano a Cavenago attraverso Via Piave e iniziavano a mitragliare le facciate delle case di corte.
Per la popolazione cavenaghese furono giorni di paura, e lo stato morale non fece che peggiorare quando un giovane militare tedesco, in servizio presso la piazzetta di San Giuseppe, in Via Mazzini, veniva colpito a morte da un partigiano locale. Secondo l’opinione pubblica, a compiere l’azione fu un cavenaghese soprannominato il “Cavalantel”. Lissoni Pierina di Luigi, residente al tempo dei fatti in Via Roma al numero civico 2, all’interno della “Curt di Buragon”, ricorda che dalla sua casa, immediatamente di fronte alla piazzetta, nella quale si era chiusa durante il corso dell’assassinio, si sentivano le urla strazianti del ragazzo, il cui corpo, dopo essere stato colpito più volte, per paura di una rappresaglia da parte delle colonne tedesche che attraversavano il paese, veniva successivamente nascosto dai civili e la sua salma inumata in località sconosciuta.
Passati i momenti di terrore dovuti alle vicende dell’occupazione nazifascista, che a Cavenago aveva visto molteplici rastrellamenti e minacce di rappresaglie – una fra tutte quella in seguito al 6 ottobre 1944, che vide l’arresto e la deportazione del militare sbandato Ambrogio Erba [1], e in occasione della quale, nella piazza del paese, venne anche installata una mitragliatrice -, i civili non poterono però dimenticarsi degli abusi e dei soprusi a cui erano stati sottoposti nel corso del ventennio fascista e della stessa occupazione. Fu così, ad esempio, che la prestinaia del “Premiato Forno” posto in Piazza Principe Umberto, rinominata poi “della Libertà”, la sig.ra Teresa Riva, detta “Tereset Pepet”, collaboratrice dei fascisti e delatrice di soggetti considerati politicamente sospetti, nei giorni successivi alla liberazione venne condotta in piazza da alcuni partigiani e sottoposta a un processo sommario. Questi, dopo averla fatta salire su un carro armato, la raparono pubblicamente le spalmarono uno strato di pece sul capo rasato. Dallo spavento la donna arrivò anche a pisciarsi addosso, lasciando una macchia sull’autoblindo.
La situazione più tragica si presentò però la sera del 9 maggio 1945. Insolitamente, quella sera le campagne cavenaghesi vennero attraversate da un’automobile proveniente da un altro comune. A bordo del veicolo un gruppo di partigiani e Bernardo Ferri, di anni 37, residente a Sesto San Giovanni e membro della G.N.R. (Guardia Nazionale Repubblicana), apparato apertamente impiegato nella repressione delle azioni di resistenza e dei partigiani stessi, il quale si era allontanato da casa sin dal 25 aprile 1945.
Intorno alle nove di sera, una volta fermi nell’area agricola limitrofa al paese il Ferri venne fatto scendere dal mezzo e, dopo che i suoi i rapitori ebbero sequestrato tutti i documenti in suo possesso, lo trucidarono lungo la strada. Il cadavere abbandonato venne probabilmente individuato dai contadini già nel mattino successivo e portato al cimitero comunale, dove in attesa di un eventuale riconoscimento o reclamo venne conservato per tre giorni per poi essere inumato senza permesso dal custode il 12 maggio successivo, il quale si preoccupò comunque di conservare dei lembi delle stoffe degli indumenti del defunto. Nei tre giorni in cui la salma si trovò in attesa di sepoltura nel cimitero, l’Ufficio dello Stato Civile non redasse alcun verbale o atto di morte. Gli unici documenti che riportarono informazioni sull’avvenimento, di cui oggi si ha una sola testimonianza indiretta, sono due verbali, il primo redatto in seguito all’intervento dei Carabinieri del Comando della Stazione dei Carabinieri Reali di Bernareggio, mentre il secondo protocollato dal Distaccamento cavenaghese della 103° Brigata Garibaldi e consegnato al Comando della Divisione, il quale aveva sede a Vimercate.
Alla fine di ottobre del 1946 si presentò all’Ufficio Comunale di Cavenago di Brianza la signora Esperia Gerardini, residente a Sesto San Giovanni e coniugata con Bernardo Ferri. La donna, dichiarando di aver già intrapreso numerosissime ricerche per aver notizie del marito, supponeva che Bernardo fosse stato ucciso nei pressi di Cavenago; a convalidare ulteriormente le sue supposizioni fu quanto emerse dall’interrogatorio del custode del cimitero, del quale non si hanno verbali, ma attraverso la documentazione a noi pervenuta sappiamo che nel corso del colloquio egli dichiarò il giorno dell’arrivo della salma del defunto al cimitero, corrispondente ai giorni dell’allontanamento del Ferri da casa, e consegnò alla vedova Gerardini i tagli tratti dagli indumenti del presunto cadavere del marito, che lei riconobbe senza nessuna difficoltà.
Il 1 novembre del 1946 il caso venne sottoposto al Procuratore della Repubblica di Monza, il quale, dopo aver compiuto alcune indagini ed essersi confrontato con l’Ufficio di igiene, il 31 gennaio 1947 autorizzò la procedura per il riconoscimento del cadavere, che ebbe però luogo solo il 21 marzo successivo, alla presenza della signora Gerardini, di Mario Coco, amico del Ferri, e dell’Ufficiale Sanitario Municipi Costantino.
Al momento della riesumazione i presenti riconobbero nella salma il loro defunto. Inoltre, sia i tratti somatici, i capelli riccioluti, sia gli indumenti riconoscibili – una giacca a doppio petto, pantaloni grigi, camicia bianca a righe blu- corrispondevano alla indicazioni fornite dalla moglie prima dell’apertura della bara.
Cfr.: ACCa, Cat. XII, Anno 1947.
[1] Erba Ambrogio fu Dionigi e di Galli Maria, nato a Cavenago di Brianza il 20 novembre 1924. Chiamato alle armi il 21 agosto 1943, tornava a casa l’8 settembre dello stesso anno, in seguito alla dissoluzione del Regio Esercito Italiano. Arrestato dai tedeschi, Ambrogio viene deportato in Polonia l’8 ottobre 1944. Internato prima a Częstochowa, entro il 20 di novembre dello stesso anno viene trasferito a Zirndorf, in Baviera. Rimpatriato in Italia giunge in famiglia il 25 maggio 1945.
Le fotografie che accompagnano il testo appartengono all’Archivio della Signora Emanuela Frigerio.
Lorenzo Roncaglia