NON DIRMI CHE HAI PAURA. Il coraggio di sognare
A partire dal romanzo di Giuseppe Catozzella, una riflessione appassionata sul sogno sportivo e umano della sua piccola grande protagonista, Samia Yusuf Omar, campionessa coraggiosa.
Che cos’è lo sport? È solo un passatempo, un modo per divertirsi o può essere anche altro? Può rappresentare la lotta per un riscatto che sembra impossibile? Di sicuro lo sport è competizione, passione, allenamento, ma soprattutto sogni e speranze. Puoi essere il pugile più forte al mondo o il corridore più veloce di tutti, ma se prima di salire su quel ring o su quella pista la tua testa non crede in quello che fa o rimane indifferente al risultato che puoi ottenere, hai già perso in partenza, mentre se sei spinto da un sogno o da un ideale non ti arrenderai mai e continuerai a combattere, perché se ci importa davvero qualcosa o qualcuno, daremo anche il nostro sangue e saremo disposti a perdere mille e più volte pur di vincere infine.
Pensiamo alla manifestazione che più rappresenta il sogno per ogni vero sportivo: le olimpiadi. Andiamo a Londra e torniamo nel 2012, quando, tra i candidati a una medaglia, vi sarebbe dovuta essere una ragazza di nome Samia.
Samia veniva dalla Somalia, veniva da una terra distrutta e straziata dalle guerre, da una terra piena di disuguaglianze tra maschi e femmine. Samia, nonostante tutto questo, come tutti noi aveva un sogno: sognava di correre e scappare lontano da tutto, poi fermarsi, guardarsi indietro e ringraziare le sue gambe. Condivideva questo sogno della corsa col suo migliore amico, che per lei era come un fratello, Ali. Lui le faceva da allenatore in quei campi di sabbia rossa crivellata dai colpi dei mortai e delle mitragliatrici sparati dai molti che per uccidersi tra loro uccidono i sogni degli altri. Aabe era invece suo padre: Samia stava bene con lui, persa tra la sua barba e il suo profumo, lui le regalava gli unici momenti in cui si sentiva tranquilla, nonostante quello che succedeva anche solo fuori dalla sua porta…
Samia aveva molte sorelle. Una di queste era Hodon, come Samia piena di forza e voglia di combattere per sperare in qualcosa, qualcosa che potesse cambiare tutto. Samia si era innamorata della corsa allenandosi ogni giorno e arrivando a 17 anni, nel 2008, a essere una delle partecipanti alle olimpiadi di Pechino. Hodon invece non era interessata agli sport, ma combatteva anche lei: combatteva con i suoni, combatteva imprimendo sulla carta pensieri che poi faceva volar via insieme a note che componeva, denunciando la gabbia invisibile in cui era rinchiusa con le sue sorelle. Lei cantava delle ingiuste distinzioni di sesso e delle guerre che limitavano la loro vita rovinandola già dall’infanzia.
Samia alle olimpiadi di Pechino arrivò ultima, ma proiettò subito i suoi sogni verso olimpiadi seguenti. Nel frattempo, nel suo paese le tensioni sociali aumentarono e lei per realizzare il suo sogno fu costretta a scappare. Percorse a piedi, in un’olimpiade di desideri e di stenti, il Sahara verso la Libia, per arrivare agli scafisti che la fecero salire su un gommone colmo di migranti verso l’Italia. Purtroppo, il sogno di Samia si spense durante quel viaggio. Annegò inseguendo la speranza di realizzare i suoi sogni e dimostrare che non importa da dove vieni: se ci credi puoi combattere e se non lo fai nulla cambierà mai.
Samia poteva stare a casa e negare i suoi sogni, ma non l’ha fatto. È vero, ha pagato caro il prezzo della sua scelta, però adesso milioni di donne conoscono la sua storia e prendono forza da lei, combattono e si fanno forza come avrebbe fatto Samia nella loro situazione. Ora sei ancora sicuro che una sola persona non può cambiare nulla? Sei sicuro che un incendio non ti brucia perché parte da una scintilla?
Mattia Nava