Nella mente di SHERLOCK
Chiunque, almeno una volta nella vita, ha sicuramente sentito parlare del consulente investigativo Sherlock Holmes e del suo assistente, il dottor John Watson, nati dalla mente dello scrittore scozzese Arthur Conan Doyle alla fine del diciannovesimo secolo, ed è proprio partendo da questo immaginario che Steven Moffat e Mark Gatiss hanno creato la serie televisiva Sherlock. C’è però una sostanziale differenza che separa gli scritti originali di Doyle dalla serie: l’epoca. Per renderle più appetibili al pubblico attuale, gli sceneggiatori hanno deciso di ambientare le avventure dell’investigatore negli stessi anni in cui è stata prodotta la serie, quindi a partire dal 2010.
Possiamo vedere infatti Sherlock interagire con tecnologie moderne (come smartphone e computer), scoprire che le avventure narrate dal dottor Watson si trasformano in un blog online, osservare i personaggi muoversi nelle strade di Londra tramite taxi e vivere con tutte le comodità di un londinese dei giorni nostri. Le caratteristiche ottocentesche non vengono, però, del tutto abbandonate, ma vengono limitate ad alcune ambientazioni, come la casa al 221B di Baker Street da cui partono la maggior parte delle avventure e soprattutto nell’episodio speciale/film, direttamente collegato alla serie, ambientato interamente alla fine del diciannovesimo secolo.
Il punto centrale della serie, come si può facilmente intuire, è la risoluzione dei casi. Nonostante ciò, gli sceneggiatori si soffermano soprattutto sul modo in cui Sherlock riesce a ricavare una miriade di importanti informazioni su ciascuna persona a partire da un piccolo dettaglio e che gli consentono appunto di arrivare alla soluzione di ogni mistero. Non sono rari infatti le occasioni in cui Sherlock dà prova delle sue incredibili capacità deduttive arrivando addirittura a risolvere dei casi semplicemente ascoltando i racconti dei suoi clienti.
Nonostante la serie abbia un’insolita composizione, quattro stagioni composte da tre puntate, ciascuna di 90 minuti, non risulta mai noiosa o ripetitiva, anche se incentrata completamente sul personaggio di Sherlock, in quanto la capacità deduttiva dell’investigatore è unita a una grandissima ironia dovuta a un equivoco di fondo: Sherlock considera scontato quello che lui riesce a capire in pochi attimi, i personaggi che gli stanno intorno invece non considerano affatto i suoi pensieri così semplici come lui stesso crede.
La serie riesce quindi a intrattenere lo spettatore per tutta la sua durata sia facendolo empatizzare con i personaggi che si evolvono durante il corso delle loro avventure, sia soprattutto grazie alla cura con cui il regista decide di mostrare i pensieri e le deduzioni di Holmes, facendo vivere direttamente allo spettatore la mente di questo straordinario personaggio.
Samuel Venturini