L’IMPREVEDIBILE RICORRENZA DELLE COINCIDENZE, un racconto di Elia Sala
L’imprevedibile ricorrenza delle coincidenze, ovvero: cosa ci fanno una Camicetta Azzurrina, un cd ROM e un Taccuino Stropicciato in una giornata di caldo torrido e durante una rapina a mano armata in una banca? Solo inutili coincidenze, come quella con la data di nascita dell’autore del racconto, Elia Sala? Selezionato tra i finalisti nel Concorso di scrittura “Una storia breve”, rivolto ai giovani della nostra regione, Click! vi propone questa narrazione intrigante, scritta con uno stile efficace e dotata di una struttura narrativa avvolgente.
Prefazione
Diciamoci le cose come stanno. Questo racconto non prende ispirazione da nulla, non ha messaggio e non ha significato, e vi do un consiglio… non fidatevi di chi l’ha scritto perché io lo conosco ed è un bugiardo.
Detto questo mi accorgo che questa storia non ha bisogno di una prefazione.
Indice:
- L’inizio
- L’ultima scena
- Quello che nessuno ricorda
- Rapina in banca
L’inizio
Martedì 23 giugno 1998 faceva un caldo tremendo, il termometro quel giorno ballava intorno ai 39 e nessuno uscì di casa prima delle 17:30. Il caldo fu talmente torrido e devastante che quel pomeriggio si registrò il maggior numero di birre vendute dal 4 luglio 1954.
(Per chi di voi non lo sapesse, il 4 luglio 1954 la Germania vinse il mondiale. Ps: Non lo sapevo nemmeno io).
Quello stesso giorno si registrò nelle capitali di tutta Europa una media di 28,4 m.p.c. Questo lo dissero al telegiornale solo una settimana dopo, presumibilmente per non far dilagare il panico sulla misteriosa malattia siglata m.p.c., che si rivelò essere l’acronimo di: Morti Per Caldo.
Quello stesso giorno alle 9:31 il signor Rossi spalancò le porte dell’ufficio. Era visibilmente rosso in volto e sudato per il caldo che anche lì aveva preso il sopravvento. Dalle prime luci del mattino i condotti dell’aria condizionata avevano smesso di funzionare emettendo un cigolio alquanto malaugurante.
Indossava una Camicetta Azzurrina completamente sudata sotto le ascelle e alla base del collo e portava i capelli in un modo che solo lui aveva capito perché. Appena fu entrato cominciò a urlare come un pazzo contro la segretaria, ribaltando cassetti, rovesciando pile di fogli sulle scrivanie e svuotando cestini.
<N’do cazzo sta?!>
<Che?> rispose la segretaria.
<Cosa che?>
<U c’hai detto “n’do cazzo sta?!” E t’ho risposto “che?” E tu m’hai detto “cosa che?” E mo ci troviamo in ‘sta situazione demmerda>
<Cosa?>
Stop! facciamo un passo indietro.
Il giorno prima erano state prese delle decisioni abbastanza importanti riguardo a cose abbastanza importanti che non starò qui a elencare per motivi abbastanza ovvi. Queste decisioni sarebbero state rese pubbliche in seguito tramite un comunicato stampa della prefettura di Roma (Andate pure a controllare che è vero).
E chi avrebbe dovuto scriverle? Il signor Rossi… ovviamente.
Aveva copiato il file su un cd ROM e premurosamente anche a mano su un foglio di carta che aveva messo sulla sua scrivania per un’eventuale necessità. Non c’è bisogno di dire che quel foglio sembrava un fazzoletto usato.
Il mattino dopo il signor Rossi si era svegliato decisamente in ritardo e nella fretta di fare colazione aveva fatto cadere la tazza di tè e limone sul pavimento. Essendo troppo in ritardo aveva deciso di rinviare la pulizia al pomeriggio. Si era allacciato la Camicetta Azzurrina, si era abbottonato i pantaloni, aveva messo il prezioso cd ROM in tasca, aveva afferrato la valigetta del lavoro e si era avviato alla porta di casa senza fare troppa attenzione al lago di tè, che nel frattempo era colato giù per le scale che collegavano la cucina al pianerottolo.
La caduta fu paragonabile a un boeing 747 che si schianta su una montagna. Fortunatamente si contò solo un morto: il cd ROM.
A questo punto, provato ma non sconfitto, il nostro eroe si era precipitato in ufficio. Entrato in prefettura aveva notato un omino delle pulizie che stava portando via un bidone pieno di carta; al che al sig. Rossi era venuto in mente che quel giorno era anche il giorno delle pulizie. E così era corso più velocemente che aveva potuto fino al suo ufficio, aprendo con violenza la porta e cominciando a urlare contro la segretaria.
Il resto delle storia la sapete… alla fine la segretaria aveva riconosciuto il comunicato e lo aveva conservato per il sig. Rossi. Che fece in tempo a emetterlo. Il fato volle che quel giorno, per coincidenza, per i corridoi degli uffici passasse il direttore che, sentendo il signor Rossi urlare in quel modo, decise di licenziarlo. Buffo no?
Il fatto ancora più buffo e completamente scollegato da questo inutile prologo è che quello stesso giorno, a circa 600 km più a nord, nascevo io.
L’ultima sCena
Eravamo tutti là seduti ad aspettare il verdetto. Io, mia moglie che stava ascoltando un po’ di musica rilassante, i miei quattro figli che correvano per l’aula, il mio avvocato, quello dell’accusa, due guardie giurate che parlavano di tennis e due testimoni. Tutti e dodici eravamo di fronte al giudice, che si stava scaccolando. Io mi sentivo… avete presente quando si sta per essere fottuti? ecco, io mi sentivo così.
Dopo qualche battibecco tra il giudice e le guardie giurate su chi fosse il giocatore più bravo, fu il mio turno, che poi a parlare fu solo l’avvocato che come in tutti i film cominciò il discorso con: <Vostro onore, il mio cliente bla bla bla>
E il giudice con fermezza rispose: <Il signor Sala bla, ha commesso un bla bla>
<Sono decisamente spacciato>, pensai
Il giudice, che pareva avermi letto nel pensiero, disse <Avvocato Poplaski, il suo cliente non ha possibilità bla bla. Abbiamo prove, registrazioni, intercettazioni, informazioni, petizioni, formazioni, gemmazioni, illuminazioni, senza considerare che la polizia lo ha colto in fragrante> poi si sistemò il cravattino, si schiarì la voce e disse: <Condanno il signor Sala Elia a tredici anni di carcere, bla bla bla bla>
<Richiamo formale, vostro onore> disse l’altro a caso
<Richiamo bla bla respinto>
<Ma vostro onore bla bla bla, com’è possibile che bla bla?>, disse l’avvocato Poplaski, tirandosi su le maniche per intimidire il giudice quasi volesse pestarlo…
Il fatto buffo è che, mentre l’avvocato Poplaski parlava al giudice, uno dei testimoni, il poliziotto ciccione in borghese che ci aveva fottuto, quello vestito con una Camicetta Azzurrina sudaticcia, aveva estratto da una tasca un Taccuino Stropicciato, sul quale aveva cominciato ad appuntare qualcosa… un bacio… questo fatto mi sconcertò non poco poiché riconobbi il taccuino, era il mio. Ironia della sorte, alla fine quello che era stato derubato ero io.
In un paio di minuti entrarono altre due guardie armate e vestite come Batman, che mi presero, mi ammanettarono e mi condussero nel carcere di Santa Cruz.
Musica triste. Fine.
Quello che nessuno ricorda
In quei primi istanti di vita che precedettero il pianto realizzai subito, dopo essermi accorto di essere viscido e molliccio, che il mondo agli occhi di un bambino è troppo vasto, talmente sconfinato e incredibilmente rotondo da terrorizzarlo.
Credo che se il mondo fosse piatto sarebbe tutto più facile da accettare: un inizio, una fine, qualche strada che collega gli angoli, qualche cartello che ti avvisa che tra 10 km il mondo finisce, altri cartelli che ti dicono “bungee jumping 10km”.
Ma ora, grazie a qualche scienziatello del cazzo bisogna spiegare ai bambini che il mondo:
- È sferico ma non troppo.
- Non può essere rappresentato correttamente su una superficie bidimensionale senza trascurare parametri in trascurabili.
- E che, volendo, si potrebbe raggiungerne un qualsiasi preciso punto incamminandosi in qualsiasi direzione. Fico! detto a un bambino che si fa la cacca addosso.
Tutto questo, con l’aggiunta delle malattie, le guerre, la corruzione e il Grande Fratello su Italia uno il sabato sera, rende il mondo un posto poco piacevole in cui crescere.
Questo spiega perché è meglio non parlare ai bambini di certe questioni e perché sono state inventate le favole.
Dopo aver compreso questo, solo dopo averlo compreso, piansi.
Comunque… Qualche giorno più tardi, una volta a casa, decisi che il mondo, per i suddetti motivi, non era un posto per me e che quanto più gli fossi stato lontano tanto più sarei stato bene. Ma converrete che era un’impresa azzardata, anche solo nelle premesse, e non solo non mi venivano in mente idee per allontanarmi da questa palla azzurra penzolante nello spazio ma neanche me ne venivano per evadere dalla mia carrozzina.
A ogni modo fallii e abbandonai il progetto dopo aver cercato per ben tre ore di alzarmi in piedi per scavalcare la barriera anti-caduta del lettino mentre i miei parenti ridevano di me pensando che stessi solo facendo un po’ di quei versi che fanno i neonati per attirare l’attenzione.
Non era il mondo che abitavo ma i suoi abitanti che odiavo, miseri ipocriti che rinnegano loro stessi, attaccati al denaro, ai simboli, ai falsi ideali, ai falsi maestri, ai costumi imposti da una società malata. Era questo che odiavo. E fu così che un giorno, pensando a quanto sarebbe stato impossibile cambiare il mondo, decisi che sarebbe stato preferibile cercare di sabotarlo. E come meglio cercare di farlo se non passando attraverso le banche?
Rapina in banca
Alle 4:14 mi svegliai di soprassalto urlando all’impazzata, come tutte le mattine del resto. Mentre urlavo e quasi piangevo per l’orrore della mia squallida vita, con la mano cercavo la mia Stratoblaster2000 che ero sicuro di aver messo sotto il cuscino. Dopo averla cercata per trenta secondi, mi accorsi che la stavo tenendo saldamente con l’altra mano; risolto il problema, mi alzai dal letto, andai in bagno e mi rimisi a dormire.
Alle 7:30 fui svegliato dal cellulare che suonava.
<Sì pronto, chi è?>
<Dove cazzo sei?!>
<Cosa?>
<Dove cazzo sei?> ripeté la voce dall’altra parte del filo.
<Sono… cazzo>
In quel momento mi venne in mente tutto.
Scesi dal letto in fretta, infilai un paio di mutande, rigorosamente al contrario e al rovescio e sopra le mutande misi il primo paio di pantaloni che mi passò sotto mano, quelli li indossai dritti. In due minuti ero fuori di casa e mi stavo dirigendo al bowling.
(Piccola parentesi: che non era un bowling, ma semplicemente un vecchio capannone dismesso al quale avevamo dato il nome di Bowling, la base insomma).
Il telefono squillò di nuovo.
<Sto arrivando, ho avuto un problema da risolvere> dissi precedendo Hornet.
<Un problema da risolvere?! cazzo… aveva un problema da risolvere lui… mavvaffanculo cazzo! Partiamo senza di te!>.
<Dai che sto arrivando>.
<Non me ne frega un cazzo se stai arrivando… se non sei qui in due minuti partiamo, e tanti saluti>.
Un minuto e quarantatré secondi più tardi, alle 7:46
<Allora ragazzi sapete tutto! Ant con me, Wasp con Hornet, e tu Bug…> Bee si interruppe per sputare a terra e farmi chiudere la porta dato che ero appena entrato < tu vai con loro.>
Ci fu un coro di assenso.
Poi Bee, il capo, si rivolse a me.
<Ehi Bug, già che sei arrivato in ritardo vedi di non fare altre stronzate!>.
<Signorsì signore!> risposi io ironicamente.
<E vedi di girarti quelle cazzo di mutande!> facendomi notare che mi ero messo la maglietta nelle mutande.
In due minuti avevamo caricato tutto il materiale nelle macchine ed eravamo pronti a partire…
In macchina facemmo per la terza volta il check-up dei materiali.
<Scotch?>
<Preso>
<Maschere?>
<Prese>
<Guanti?>
<Presi>
<Attrezzi per il caveau?>
<Sono nella borsa di Ant, nel bagagliaio>
<Pistole, fucili e armi del caso?>
…
<Cazzo ho dimenticato la mia stratoblaster2000 a casa! Cazzo cazzo!>
<Porca troia Bug, come cazzo hai fatto a dimenticarti la pistola?!>
<Lascia perdere, ti presto una delle mie> disse wasp incazzato
<No no dobbiamo passare a prenderla assolutamente, io non faccio niente senza la mia stratoblaster!>
<Non se ne parla proprio, cazzo! Adesso andiamo a rapinare questa cazzo di banca e tu ti cuci quella fogna>
<Wasp, ti prego, abito a duecento metri da qui…> (era per quello che non avevo fissato la sveglia all’orario giusto, ma era anche per quello che ero riuscito ad arrivare in tempo.)
… Wasp fece una smorfia e si accese una sigaretta come la accendono i gangster in ogni film americano, lasciandosi però scappare una smorfia di agitazione.
<Ok ok, va bene, ma fai in fretta che non c’è tempo da perdere>.
Appena entrato in casa, frugai tra le coperte e la trovai quasi immediatamente, me la infilai nei pantaloni e corsi giù per le scale.
Alle 8:01 la macchina si fermò a qualche passo dall’ingresso principale della banca con un cigolio dei freni giustificato dai suoi dodici anni di età.
<Ok, siete tutti pronti? Sapete quello che dovete fare… saremo fuori in tre minuti, se qualcosa va storto, ognuno per i fatti suoi, se arriva la polizia ognuno per i fatti suoi, se qualcuno viene beccato sono fatti suoi. Allora siete pronti?>
<Andiamo a diventar ricchi, cazzo!> disse Hornet con un leggero tremore di voce.
<E allora diamo inizio alle danze…>
Scesi dalla macchina con la mia stratoblaster2000 in mano e un passamontagna in testa, Hornet aveva portato con sé quello che lui chiamava “lo stupratore” e Wasp, beh, ecco lui aveva uno zaino pieno di esplosivi e in mano un vecchio fucile Thompson che credeva gli portasse fortuna.
Entrammo in banca e la prima cosa che notai prima che il silenzio fosse rotto dagli spari furono le poche persone che quella mattina si trovavano al posto sbagliato nel momento sbagliato.
<Fermi tutti, questa è una rapina!>.
Cliché dei film gangster, ormai un po’ banale ma voi prendetelo come un omaggio a quel tipo di film. In realtà Hornet si dimenticò di dire che era una rapina e disse:
<Fermi tutti!>.
Beh, c’è anche da dire che se uno entra in una banca con un fucile e un passamontagna non è per ritirare i soldi della pensione.
Sta di fatto che il direttore si fece avanti. A dire il vero non so perché lo fece, dato che in mezzo a tutte le parolacce di Hornet, che nel frattempo aveva urlato contro la vecchietta, non era mai stato menzionato.
<Sono io, sono il direttore, voglio collaborare, volete i soldi nel caveau, giusto?> disse un ciccione sudato con una Camicetta Azzurrina che portava i capelli in un modo che solo lui aveva capito perché.
Giuro che non so perché una persona alle prime luci del pensionamento dovrebbe offrirsi a dei criminali e assecondarli.
Io e Hornet ci precipitammo nella direzione indicata dal tizio e gli intimammo di tenere le mani alzate e ben in vista e tutte quelle altre stronzate che avevamo sentito nei film mentre gli altri tenevano buoni i clienti nella sala principale…
Il caveau si trovava un piano sotto terra, una volta davanti alla porta blindata rotonda… sì esatto, come quelle dei film… Hornet estrasse dallo zaino i materiali per la forzatura… anche qui come quelli dei film… e incredibilmente 57 secondi dopo la porta di 50cm di acciaio si aprì e noi entrammo. Prendemmo quanta più roba possibile tanto che dovetti pure riempirmi le tasche, lasciando al direttore il mio prezioso Taccuino Stropicciato.
Infine risalimmo le scale dove ad aspettarci c’era la polizia.
Ma forse è stata solo una coincidenza.
Elia Sala