LA TREGUA di Primo Levi e la domanda su Dio
“Come può esistere Dio, dopo Auschwitz?” A partire da questa domanda, intorno a cui tanti pensatori nel corso del ‘900 si sono interrogati, e a partire da La tregua di Primo Levi, due alunni della 5M provano a sviluppare delle riflessioni e a porci, con profondità, ulteriori interrogativi.
LA DOMANDA
È probabilmente una caratteristica intrinseca dell’uomo interrogarsi riguardo ad argomenti che sono infinitamente più grandi di lui.
La cosa è piuttosto buffa e, per certi versi, quasi romantica.
Sappiamo tutti che non si arriverà mai ad una risposta: non ci è dato sapere tutto e, forse, è anche un bene.
Però, in fondo, c’è più gusto nel porsi un quesito al quale nessuno può rispondere.
Insomma, ognuno può pensare ciò che più gli piace e, fondamentalmente, tutti (o nessuno) hanno ragione.
Diciamo che è un po’ un modo di estraniarsi dalla banale routine quotidiana, è un modo di fantasticare senza pretese circa argomenti che sono, in qualche modo, comuni a tutti noi.
In ogni caso, il discorso che stiamo per intraprendere è leggermente più complesso di questa fallimentarmente ironica introduzione.
Ci sono domande e domande.
Ci saranno quindi risposte e risposte.
Nella storia umana abbiamo avuto il piacere di immergerci in temi tanto vasti quanto ineffabili e uno di quelli più celebri che, diciamocelo, va sempre di moda, riguarda l’eventuale esistenza di un’entità che ci è superiore in tutto e per tutto.
In parole povere: Dio, esiste?
Durante il corso dei secoli, l’opinione comune è cambiata in drasticamente.
Agli albori della civiltà, Dio esisteva.
Tutto era Dio. Dio era il fulmine, era l’acqua, era il fuoco con cui i nostri avi cuocevano la preda appena abbattuta prima di cibarsene.
Poi la civiltà si è evoluta, sia tecnologicamente che filosoficamente. Eppure, Dio esisteva ancora. Anzi.
Ne esisteva ben più di uno.
Un Dio era per il mare. Un Dio era per cielo. Un Dio era per la terra. Un Dio era per i morti.
Ma l’evoluzione non si è fermata e, con essa, neanche la ricerca dell’infinito.
Diverso tempo dopo si constatò nuovamente che Dio esisteva.
Ma era uno e uno solo.
A essere onesti, sarebbe sì uno ma, volendo fare i pignoli, sarebbero tre.
Cioè, questa storia non si è mai capita bene e dipende molto da chi la racconta, ecco.
Fidiamoci della versione occidentale dei fatti: facciamo che Dio è uno ma è anche tre, senza farci troppe domande a riguardo.
Quindi, finalmente abbiamo un Dio unico. Un Dio amorevole e misericordioso che ci ama tutti, indiscriminatamente.
Eppure, questa versione non combacia un granché bene con i trascorsi dell’uomo che, tra una ricerca di Dio e l’altra, non si è fatto troppi problemi del perseguitare e uccidere suoi simili in nome del divino (e non).
Anzi, pensiamo a una delle macchie più nere della nostra storia.
Pensiamo all’olocausto, e mettiamolo in relazione con il divino.
Se questo “Dio” esiste, come può avere permesso tale atrocità?
Usando le parole di una persona che il popolo italiano non può far altro che ammirare: “C’è Auschwitz, dunque non può esserci Dio. Non trovo una soluzione al dilemma. La cerco, ma non la trovo”
Primo Levi, con queste frasi, ha minato i fondamenti della religione.
Si tratta fondamentalmente di una causa e una conseguenza.
La conseguenza, quindi, non è altro che la non-esistenza di Dio, e il suo ragionamento è ben più che giustificato.
Egli, assieme a moltissime altre persone, si trova insensatamente sottratto alla sua vita, alla sua famiglia, a ciò che di più caro aveva, senza motivo alcuno.
Viene preso e portato in un campo di lavoro dove “vivrà”, per un intero anno, a stretto contatto con la morte.
Una vera e propria lotta per la sopravvivenza. Sopravvivenza che, per altro, non era neanche presa in considerazione dai carnefici i quali, armatisi di carta e penna, avevano calcolato che un uomo, una volta gettato in quell’inferno, avrebbe dovuto resistere solo pochi mesi.
Si trova quindi in condizione disumane e i suoi connazionali inesperti e inabili nel comprendere il tedesco, verranno quasi completamente sterminati.
Levi non si arrende e, un po’ per il caso, un po’ per le opportunità apritegli dalla sua laurea in chimica, riesce a salvarsi.
Almeno per il momento.
Primo non si ferma qua, una volta uscito dal campo la situazione migliorerà di ben poco e il rientro a Torino sarà estenuante.
Si trova davanti a un’umanità abbandonata a se stessa e che vuole solamente dimenticare.
La cosa, al chimico, non va affatto bene: nello stesso momento in cui esce dal cancello dell’inferno che per due anni lo aveva trattenuto in quella costante disumanità, si impone di non dimenticare nulla.
Levi inizierà la sua opera più importante: “Se questo è un uomo”, che non farà altro che salvarci.
Con quelle pagine ha preso la storia e l’ha messa su carta, così che a noi non fosse possibile dimenticare.
Sarebbe entusiasmante discorrere della sua opera (che non si limita affatto al mero scrivere cosa succedesse nel campo, ma va ben oltre) ma non siamo qui per questo.
Torniamo al discorso primordiale.
Levi non vede un Dio in tutto questo: non riesce a credere nella sua esistenza e, forse, è un bene.
Se proprio deve esistere un qualcosa di superiore, allora sarebbe buona cosa che non fosse del tipo “permetterei lo sterminio di un’intera etnia” perché, a quel punto, potremmo tranquillamente farne a meno, ecco.
La risposta al suo dilemma, Primo, l’aveva già stabilita.
Ed è la risposta che deriva da una persona che, dopo aver resistito all’irresistibile, ha dovuto affrontare un viaggio di ritorno che durò un anno colmo di peripezie e rallentamenti.
Tale viaggio viene raccontato ne “La tregua” altro suo libro e, successivamente, rappresentato nell’omonimo film.
La tenacia di Levi verso la memoria lo porterà a diventare un emblema del popolo italiano durante l’olocausto e, purtroppo, lo porterà anche alla morte.
Egli, infatti, disperato, si suiciderà nel 1987, periodo nel quale iniziano a nascere i primi “negazionisti”, storici (per lo più tedeschi2) che tendono a definire i campi di prigionia come un fenomeno incredibilmente gonfiato dalla propaganda alleata.
La sua morte, però, non ci nega la possibilità di ricordare, anzi: il ricordo diventa un dovere.
Per usare le parole di qualcun altro: “Non solo so che abbiamo perso sei milioni di ebrei, ma quello che mi preoccupa è che i record sono fatti per essere battuti”.
Questo aforisma, che è in realtà parte di un dialogo3, è un avvertimento tristemente ironico.
Non ci è dato sapere se Dio esista o meno e, alla fine, forse non ha importanza scoprirlo.
Non ha importanza perché il passato è la prova stessa che la sua presenza, la presenza di Dio, non fa differenza nella storia umana.
Siamo abbandonati a noi stessi e, reduci dal sangue, è compito solamente nostro far sì che gli stessi errori non si ripetano.
L’essere umano, oltre ad una propensione per l’autodistruzione ha un certo affiatamento con la smemoratezza e, tale combinazione, risulta una minaccia su ogni fronte.
È grazie all’operato di persone come Primo Levi che ci è data una possibilità.
La possibilità di fare meglio ricordando: non possiamo permetterci di farcela scappare.
1 la parentesi non intende fare ciniche insinuazioni a tedesco alcuno, pertanto, se apparteneste (o vi sentiste, per qualsivoglia motivo, vicini) a tale etnia, non sentitevi attaccati.
2 la citazione è presa da un film di Allen di cui, onestamente, ignoro il nome. Non che la cosa sia poi così importante, via.
Luca Perego
LA RISPOSTA
“La Tregua”, film del 1997. In questo film è John Turturro, che nel film interpreta Primo Levi, autore del romanzo autobiografico da cui il film trae ispirazione, a pronunciare una delle più significative frasi del film: “Come può esistere Dio, dopo Auschwitz?”
Un quesito che rivela la profonda insicurezza che investì tutti i filosofi, gli storici, i letterati e gli studiosi umanistici dell’Europa del dopoguerra.
I sopravvissuti dei Lager, dopo tale traumatica esperienza, si divisero in due schieramenti ideologici: alcuni si dedicarono ancora più fermamente alla fede religiosa, essendo state le loro preghiere ascoltate e loro risparmiati dai forni crematori e dalla camere a gas; altri rinunciarono completamente alla fede, perché non potevano credere che un Dio buono e misericordioso avesse permesso un orrore del genere. Le due visioni sono agli opposti, reazioni estreme a situazioni estreme. Non si può dire che una sia più giusta o sbagliata dell’altra.
Nel primo caso la visione di Dio è un’illusione positiva, che però, esistendo, tende a minare le basi di Dio stesso. I sopravvissuti ringraziavano Dio di averli fatti sopravvivere, di aver ascoltato le loro preghiere. Alcuni videro un disegno divino in tutto questo, videro che la loro vita aveva uno scopo che faceva parte di un progetto superiore, che si sarebbe potuto realizzare solo attraverso la fede, e così molti fecero (ad esempio, nel film sopracitato, l’amico del protagonista appena prima che venga pronunciata la famosa frase, suggerisce che: “Dio ha voluto che tu sopravvivessi per scrivere, per far sapere cosa succedeva là dentro”). La fede, come già aveva salvato molte persone in passato, ne salvò tante altre.
Ma se ci fermiamo a ragionare su cosa questo pensiero sottintenda ci accorgiamo subito dei problemi teologici che solleva. Questi mettono in dubbio tre dei principali attributi divini: la bontà, l’onnipotenza e la conoscibilità. Partiamo dal primo, da cui scaturisce l’interrogativo: “Perché Dio non è intervenuto prima?”. Supponiamo che Dio non sia voluto intervenire perché la Shoah faceva parte di questo misterioso disegno superiore. Allora non è vero che Dio è buono e misericordioso con tutti: lo è con i pochi fortunati che rientrano nei suoi interessi, paragonabile quasi a quello che era un avido capitalista senza scrupoli per Carl Marx.
Ma se Dio fosse veramente buono, allora come mai è intervenuto così tardi? La risposta a questa domanda mette in dubbio la conoscibilità del Divino: noi, come esseri umani, non siamo in grado di capire la logica di Dio, quindi il signore è intervenuto nel momento che lui reputava opportuno. E dicendo questo mettiamo in dubbio non solo il Dio ebraico, ma anche la chiesa Cristiana, che nella storia si è posta come guida e interpretazione della volontà divina.
Supponiamo che però Dio sia buono e che possiamo capirlo: affermeremmo con certezza che lui avrebbe impedito questa tragedia. Ma anche qui sorge il dubbio di come mai non sia intervenuto, e la possibile risposta annulla un’altra caratteristica del divino, dovendo ammettere che Dio non ha potuto. Non avendo potuto, Dio diventa non onnipotente, quindi egli non può aver creato il mondo se non riesce a impedire un evento come il genocidio ad opera dei nazisti.
Purtroppo questi tre principi sono necessari all’esistenza della fede, perché se Dio non fosse buono allora dovremmo averne costante timore (e il terrore della Shoah sostiene questa teoria). Se Dio non fosse onnipotente allora venerarlo sarebbe inutile, perché non ci potrebbe proteggere dai pericoli e dalle tragedie (come la Shoah). E se non potessimo comprenderlo, allora sarebbe futile chiedergli favori e sperare in una sua risposta.
Involontariamente, la speranza nell’esistenza di Dio, dopo Auschwitz, demolisce grazie alla logica la materia stessa di cui Dio è composto. E ci porta quindi a identificarci nel secondo gruppo, quello che alla domanda “Esiste Dio dopo Auschwitz?”, con il cuore al contempo leggero e invaso da un profondo senso di disperazione, risponde con un sicuro: “No, non può esistere”.
Alessandro Colao