“La scuola è come un minestrone: è buono, fa bene, ma piace a pochi” INTERVISTA AL PROF MARIO MANGANO
Dopo tanti anni passati a insegnare in questo Istituto, l’anno prossimo il prof. Mario Mangano, insegnante di Educazione motoria dell’IIS Einstein, andrà in pensione. Abbiamo quindi pensato di cogliere l’occasione per chiedergli di parlarci di sé, del suo rapporto con la scuola e, soprattutto, della sua carriera di scrittore (il suo ultimo libro, “L’allenamento esperienziale“, è del 2007), pittore e musicista. Lo incontriamo al termine di una sua lezione, come sempre svolta in modo stimolante e divertente, e subito ci accoglie calorosamente…
Buongiorno, Click! È un piacere incontrarvi. Ho qui davanti tre allievi della 2^A che con un magico sorriso mi stanno proponendo un’intervista di cui non so bene quale sarà la lunghezza. Sono miei allievi: Hind, Mario e Walid.
Prima di rispondere alle vostre domande, dovete sapere che per molti anni anch’io ho partecipato e contribuito al giornalino scolastico di questo Istituto, anzi feci le prime copertine dei primi dieci numeri e poi anche altro. Sono contento che non si chiami più “Tredici e venticinque” [l’ora di uscita da scuola ai tempi, n.d.r.], e che si sia trasformato. Vedo che l’entusiasmo degli allievi non è cambiato: quindi, all’opera.
Bene prof., partiamo dal suo ultimo libro, “L’allenamento esperienziale”. Da cosa è nata l’idea di scriverlo?
Il mio ultimo libro è frutto di una ricerca molto più seria e sostanziosa di quello che le poche pagine del libro possono esprimere.
In poche e semplici parole, la ricerca ha avuto come oggetto quello che ciascuno di noi vive quando gioca o quando cerca di realizzare uno sport. Il soggetto è appunto l’individuo, ma l’oggetto non è quello che sta fuori dall’individuo, anzi è quello che la sua mente, il suo Io, per meglio dire, la sua persona descrive: tutta la realtà che ci circonda siamo noi a guardarla a descriverla.
Descrivere, infatti, è parte integrante di tutta la ricerca. Per poterlo fare, seguendo le indicazioni del filosofo tedesco Edmund Husserl, non ci si deve chiedere: perché? Ma: come? Il “perché” conduce al dogmatismo, mentre il “come” alla criticità. Ed è nella descrizione del “come” di quello che facciamo e viviamo che possiamo leggere e capire se siamo liberi oppure condizionati, possiamo capire il senso di quello che stiamo facendo, e se possiamo migliorare il nostro stile di gioco a calcio o pallavolo.
L’idea di scrivere “L’allenamento esperienziale” è nata da un insieme di coincidenze e studi che si sono combinate attorno a un’unica idea di fondo: dare la dignità di scienza alle Scienze Motorie. Io non sono all’altezza di tale compito, ma come ho scritto nel sottotitolo del libro, “Contributo per una filosofia fenomenologica dello sport”, in esso sono contenuti i principi che, appunto, potrebbero liberare dal giogo della Medicina le Scienze Motorie e renderle indipendenti.
Detta così potrebbe sembrare la sfida di Don Chisciotte contro i mulini a vento, ma la cosa è ben diversa. Non sono i miei fantasmi a propormi una realtà, ma è la criticità nei confronti di quella che viene proposta a noi come realtà a porre il dubbio, a discriminare e valutare il senso o il non senso di ciò che ci viene proposto. Faccio un esempio, leggendovi un passo de “L’allenamento esperienziale”: “L’esperienza umana è intuitivamente qualcosa di molto più complesso della semplice percezione, o dell’indagare scientifico. Prendiamo per esempio un “sasso”, da punto di vista scientifico potrà essere analizzato dalla Chimica, dalla Fisica, dalla Geologia… ognuna delle scienze offrirà una visione parziale di esso. E se anche altre scienze indagassero su quel “sasso” non si avrebbe altro che una successione di descrizioni singole, che, anche se raccolte, non definirebbero mai compiutamente l’oggetto. Questo è il limite delle Scienze Naturali o delle Scienze dei dati di fatto.
Un “sasso” può, per qualcuno, essere un amuleto e per altri un monile, può essere un frammento del Partenone o la Venere di Milo o il Davide di Michelangelo: che cosa ha da dire la Scienza dei dati di fatto sul senso dell’esistenza ‘dell’insignificante sasso’?
“L’allenamento esperienziale” si può quindi definire un testo di filosofia dello sport? Quale rapporto c’è tra movimento e pensiero?
Come testo è un breve saggio che cerca di dimostrare quanto il metodo fenomenologico husserliano possa essere applicato in un ambito come la motricità umana organizzata: sia essa spontanea come il gioco dei bambini, sia essa strutturata come le attività sportive e le Scienze Motorie.
In genere, si guarda alla Filosofia come a un qualcosa di estraneo alla nostra vita quotidiana, come a un qualcosa di astratto, fumosa e lontana: una materia scolastica da studiare come la Storia o il Diritto. Ma il Metodo husserliano è qualcosa di totalmente diverso.
L’allenamento esperienziale è un testo che prende in considerazione il Metodo Fenomenologico Critico di Husserl e lo applica ad alcune delle forme più diffuse di motricità umana strutturate: il gioco, lo sport, le Scienze Motorie e quello che può essere considerato il movimento organizzato.
È un libro di filosofia dello sport nel vero senso della parola, poiché chi cerca di applicare le direttive dell’allenamento esperienziale cambia modo di “vedere” e “considerare” il gioco e lo sport.
È il primo testo in Italia ad occuparsi di questo tema, per questo il sottotitolo del libro è “Contributo per una filosofia fenomenologica dello sport”, perché non ne esistono altri di siffatta maniera.
Certamente il testo è al primo livello per la costruzione di una struttura di filosofia dello sport, ma nel contempo è al primo livello per dare una connotazione, nei termini di una teoria della conoscenza scientifica anche alle “Scienze Motorie”. Credetemi, giovani leoni, lo strapotere delle scienze forti esiste e quando questo si manifesta in un ambito come l’educazione del corpo, ebbene, c’è da domandarsi se si vuole accettare un “perché” o un “come”, se si vuole accettare il dogmatismo, la regola per la regola, oppure si applica un atteggiamento critico su quello che si sta compiendo. Le Scienze Motorie rispondendo ai “perché” navigano ancora, per volere della Facoltà Medicina, nelle torbide acque dell’empirismo: una scienza ciarlatana, sperimentale, ottusa, informale, chiusa.
C’è un bellissimo aforisma che per anni ha accompagnato la mia esperienza di lavoro: “Chi sa: fa. Chi non sa: insegna. Chi non sa insegnare: insegna scienze motorie”.
Per quanto riguarda il rapporto tra movimento, “motricità umana” (io lo interpreterei così) e pensiero, ecco che in questa domanda è possibile riconoscere la differenza tra l’atteggiamento scientifico (tipo quello della Facoltà di Medicina), ovvero quello più diffuso nella nostra società, e quello altrettanto scientifico, ma filosofico, proposto dal metodo Husserliano. Che può essere spiegato così: la motricità, o il movimento non esiste, perché a muoversi è sempre un essere umano, un individuo nella sua situazione di quel momento, e altrettanto il pensiero: chi si muove, si muove così e così, alla stessa stregua del pensare. Io, tu, o un individuo ipotetico penseremo ciascuno con la propria testa: è una manifestazione umana che ci distingue non solo dagli altri esseri viventi come le piante e gli animali, ma anche tra la nostra specie. Il pensare umano è un atto di riflessione sulla realtà.
Faccio un esempio. Vedere il grande giocatore Ronaldo scartare, palleggiare, muoversi con la palla è differente che vedere me che gestisco un pallone: non è solo movimento e pensiero, a questi va aggiunta la memoria del proprio vissuto. Ronaldo gioca così perché ha il suo vissuto e la sua personalità. È, quindi, la persona nella sua interezza che si muove e vive, agisce e pensa.
Per questo il libro si intitola “L’allenamento esperienziale”, perché cerca di considerare la memoria e il vissuto dell’individuo come esperienze su cui riflettere per cercare o descrivere il senso del dell’agire: ovvero dell’esperienza.
Sappiamo che lei è anche un pittore. Quali tecniche e stili utilizza per dipingere?
Purtroppo, o per fortuna, sono cresciuto in un periodo in cui i movimenti artistici erano disgregati, frammentati in mille e più correnti stilistiche. Questo ha fatto sì che gli artisti di quel periodo avessero la massima libertà: pertanto ho usato stili e tecniche differenti.
Un artista ha sempre una storia alle spalle, e qui in questo articolo ecco che un pezzo della mia storia di artista può apparire; alcuni colleghi, negli ultimi trent’anni, hanno apprezzato i miei lavori sia nelle esposizioni fatte alle mostre personali, sia in alcuni momenti a scuola. Hanno apprezzato i miei lavori ad acquaforte: incisioni su rame o zinco, così come molti colleghi ricorderanno i miei biglietti da visita natalizi in linoleum grafia, altri ricorderanno i miei acquerelli. Ma solo chi mi conosce da molto tempo ricorderà le “tovagliette”, quelle della mensa: ne ho dipinte moltissime, nella mia memoria ne ho circa 200… ma sono lavori estemporanei. Mentre i miei lavori più importanti sono ad olio su tela e se qualcuno ha voglia di vederne alcuni può visitare il mio sito: mariomangano.it per avere un’idea.
Per concludere, sono in possesso di molte tecniche che utilizzo, appunto, a piacimento, mentre per gli stili diciamo che prevalentemente, nel primo periodo della mia esperienza, ho usato il puntinismo, sfruttando la tavolozza degli impressionisti. Negli ultimi lavori sono stato più libero, pur concentrato sul cromatismo, mi sono lasciato andare e ho utilizzato materiali e tecniche differenti, varie, multiple e sovrapposte.
Abbiamo visto che ha pubblicato “on line” due canzoni. “La Cremina” e “Frischitella”. Da dove nasce la passione per la musica? Pubblicherà altre canzoni?
Non che io abbia una vera formazione musicale, sono un autodidatta che chiaramente ha vissuto tante esperienze in passato. Ma non vorrei si pensasse che non ci ho messo il giusto impegno.
Frischitella è un testo poetico in lingua napoletana e per chi ne ha dimestichezza è facilmente riconoscibile la metrica in endecasillabi. Il testo “poetico” ha avuto una lunga e travagliata elaborazione, fatta di consulti e continue correzioni. Nella canzone compaiono parole che ho preso addirittura da un dizionario del ‘700. A cantarla non sono io ma un mio amico napoletano.
Altro discorso è quello della “Cremina”. Vuole essere una canzone umoristica, che faccia sorridere raccontando una storia. A cantarla sono io, mentre il coro è composto dalle voci di mia figlia Marta e della sua ex insegnante di canto. Per renderlo più interessante, il coro, hanno replicato in tre tonalità differenti il ritornello in modo da ottenere un effetto coro più ampio. Nel cassetto ci sono altre canzoni che non sono mai entrate un sala di registrazione. Vedremo più avanti.
Scrive libri, dipinge quadri, compone e suona canzoni… essere un artista è per lei un hobby o un lavoro?
Ora vi giro la domanda, ovvero: “Come mai la maggior parte degli studenti non riesce a trovare due ore per studiare e mettersi a pari con i compiti?”
Il tempo è una dimensione irreversibile, non si può tornare in dietro, se è passato è passato. Il tempo ha anche un’altra dimensione: è limitato. Per quanto mi riguarda, quando comincio a fare qualcosa che mi “prende” allora trovo tutto il tempo necessario. Ma in questo periodo mi stanco facilmente, e alcuni progetti ristagnano.
Come fenomenologo reputo che non ci sia alcuna differenza, metto lo stesso impegno sia nel lavoro che nei miei hobby, cerco di essere sempre me stesso con i miei difetti e i miei pregi: sempre curioso, attento, interessato, critico, affamato di sapere, ironico, leggermente burlesco e a volte cialtrone. Ciò che faccio di solito rientra, nel mio vocabolario, sotto la voce “produzione”. Anche inventare una storia, una barzelletta, è una forma di produzione.
Anche insegnare è una forma di arte?
A mio parere, l’insegnante è come un attore di teatro. Ogni lezione è un entrare in scena e, carpendo l’attenzione dei pochi attenti, creare il clima magico della commedia del momento. Certo, tra il pubblico (gli studenti) ci sono alcuni irrequieti e altri passivi, ma spetta all’attore calmare e stimolare, quindi o spiegare o interrogare. La similitudine ci sta, e se il recitare è una forma d’arte, può esserlo anche l’insegnare. Ma a una riflessione più attenta, ecco che lo studente, da spettatore passa ad essere protagonista… ma questa è tutta un’altra storia, alla quale pochi credono.
Cosa ci può dire della scuola di oggi? Quando ha iniziato a insegnare quali erano i suoi obiettivi?
Stiamo ancora smaltendo l’ultima riforma, la riforma Renzi, e altre riforme ancora da stabilizzare e mettere a completo regime. Ogni governo, e probabilmente anche questo ce le metterà, ha messo le mani sulla scuola, fingendo di dare più soldi e più servizi. Molti giovani promettenti nella nostra scuola una volta diplomati scelgono di andare all’estero a studiare, mentre quando ho iniziato a insegnare gli allievi promettenti erano tenuti d’occhio dalle aziende oppure venivano assunti. Ma non è possibile fare delle comparazioni con periodi storici con così grosse differenze economiche, sociali e politiche. La scuola di oggi è meno idealistica di quella di 40 anni fa, ciò è positivo da una parte, perché è sicuramente più critica e attenta ai bisogni degli allievi, ma si è piegata troppo a delle forme di autoreferenzialità, ovvero, vuole assomigliare ad una azienda e quindi usa gli strumenti di marketing per rimanere in contatto con il territorio. Le scuole tra di loro sono in competizione: non so chi ci guadagni, e non mi piace.
Ho scritto un opuscolo, qualche anno fa, “Hortus Amoenus” una allegoria della scuola negli anni 95-96. L’ho riletto e ho avuto nostalgia di quel periodo. Magari lo imposteremo in piattaforma, oppure vedremo se qualche editore è interessato. La frase che ho scelto come dedica al testo è questa: “la scuola è come un minestrone: è buono, fa bene, ma piace a pochi”.
Posso solo parlare per la mia piccola esperienza e dei trenta e più anni passati qui all’Einstein, quindi c’è la scuola di oggi e io che sono vecchio. L’obiettivo base è sempre stato quello di proporre ai miei allievi metodiche di miglioramento delle loro prestazioni. Quando un allievo dichiarava di non essere capace di giocare a pallacanestro, ad esempio, io lo aiutavo ad acquisire i fondamentali minimi per divertirsi a giocare. Ovviamente poi ci divertivamo a giocare insieme.
L’obiettivo, quindi, è e sempre sarà: divertirsi. La scuola noiosa non mi piace, il sapere saccente non mi piace, la pesantezza della teoria per la teoria è un assurdo: la teoria vissuta nella pratica è di gran lunga più divertente e leggera. I miei obiettivi non sono cambiati nell’arco di questa vita scolastica, ed è per questo che per molti miei allievi io sono Mario, un compagno di giochi più che un Prof.
E in queste ultime righe vorrei salutare le migliaia di allievi che ho incontrato nell’arco della mia esperienza di docente, anche se oggi vedo davanti a me, nelle mie classi, i loro figli, e quindi saluto anche loro invitandoli ad avere coraggio, a saper giocare pulito pur spingendosi verso la ricerca della vittoria: a tutti un abbraccio. Mario, prof.
Un caro saluto anche a lei, prof., e un ringraziamento a nome di tutti i suoi allievi. E buona vita!
Hind Sabraoui, Walid Fawzi, Mario Grasso