La lunga notte… stellata
Click! ritorna con le sue pubblicazioni regolari partendo da un’intensa esplorazione del celebre quadro “La notte stellata” (1889) di Vincent Van Gogh. E lo fa ponendovi una domanda: qual è il vostro tubetto di pittura gialla?
Un articolo da leggere, un’esperienza da assaporare…
“Le nostre paure sono molto più numerose dei pericoli che corriamo. Soffriamo molto di più per la nostra immaginazione che per la realtà” Seneca
Vincent Van Gogh, pittore di origini olandesi, è nato nel 1853 e morto suicida nel 1890, sparandosi un colpo in un campo. La sua bara sarà ricoperta da girasoli, i suoi fiori preferiti, quelli che per lui hanno rappresentato la felicità, quei fiori dal colore acceso e vivace, il giallo, “il colore del sole, associato a una risata, è felicità e buonumore. Una persona immersa in un ambiente giallo sprizza di ottimismo”. Sono quei fiori che fanno capolino al sole, seguendolo in ogni sua direzione.
La vita di Van Gogh è molto tormentata a causa della sua estrema sensibilità.
Nel 1889 dipinge “La notte stellata”, un olio su tela di 73,7 x 90cm. Rappresenta un paesaggio di campagna sul quale si corica un cielo blu fitto di stelle, una giovane luna nell’angolo in alto a destra che illumina una cittadina abitata da casette rischiarate da luci calde e da un campanile dal tetto affusolato verso l’alto, verso i vortici che si vedono nel cielo e che rappresentano il suo tormento, mentre i colori sottolineano le sue sensazioni.
“Il verde malachite che spezza il cuore o il verde più cupo delle terribili passioni dell’umanità” Vincent Van Gogh
Se dovessi fare mio questo quadro definirei il vortice l’attanagliamento del mio stomaco nei momenti più difficili, purtroppo molto frequenti nell’ultimo periodo, la giovane luna la vedo come la luce in fondo al tunnel, come lo spiraglio di sole tra fitti nuvoloni, come l’arcobaleno dopo una tempesta che non necessariamente deve essere un avvenimento, nel mio caso è una persona. Quegli strascichi di giallo in mezzo al blu scuro del cielo sono come quelle piccole gioie che il mondo decide di regalarti ogni tanto. Il cipresso, anche se filosoficamente è visto come simbolo di immortalità, se fosse il mio quadro lo vedrei come un pericolo sempre dietro l’angolo, viste le sue grandi dimensioni e il suo colore cupo.
A volte tendiamo a fasciarci la testa prima di rompercela e guardiamo solo al peggio, soprattutto quando proiettiamo le nostre preoccupazioni verso il futuro. C’è chi rimane molto legato in modo negativo al suo passato, ma bisogna ricordarsi che ieri è storia, domani è un mistero e oggi è un dono, per questo si chiama presente. Le stelle sono dei bagliori nel buio, delle briciole che ti guidano verso la giusta direzione, come la retta via di Dante Alighieri. Il fitto bosco rappresenta le infinite paure di ognuno di noi, aggrovigliate per il loro spessore, poiché sono difficili da eliminare. Le colline sono come montagne russe sulle quali le nostre emozioni hanno fatto molti giri, sono andate in basso fino a toccare il fondo, per poi risalire fino al punto più alto del cielo.
“Si dice che Vincent Van Gogh era solito mangiare pittura gialla, il giallo secondo lui incarnava la felicità, ed era convinto che mangiandola potesse portarne un po’ dentro di sé, e per quanto sarebbe bello assumersi una dose di felicità a nostro piacimento, questa sua mania era ovviamente considerata un disturbo, una pazzia. Era risaputo che la vernice fosse tossica per l’uomo ma forse a lui semplicemente non importava, quel veleno per lui era più cura che tossina, quel veleno era anche la sua felicità. Questa cosa mi ha fatto riflettere e certamente non ho intenzione di ingoiarmi un tubetto di acrilico ma col senno di poi forse non importa quanto una cosa possa sembrare folle, senza senso agli occhi delle persone, se ci rende felici è difficile farne a meno, e continuiamo a ingerire rischiando di ammalarci. A volte succede che il nostro colore giallo sia una persona ed esattamente come la vernice per Van Gogh insieme alla felicità assumiamo anche un po’ di veleno e a quel punto quel sentimento che le persone chiamano “amore” non sarà nient’altro che un effetto collaterale” Eigei
Ognuno di noi ha il proprio tubetto di pittura gialla. Per quanto mal di pancia possa venire, avrà sempre un effetto collaterale positivo, anche perché, come dice un libro letto dal Sognatore in Bianca come il latte rossa come il sangue, “l’amore non esiste solo per renderci felici, ma per dimostrarci quanto sia forte la nostra capacità di sopportare il dolore.”
Spesso la nostra testa è come la stanza messa a soqquadro di un adolescente in crisi, ma in un modo o nell’altro bisogna buttare fuori tutto, fare un trasloco di pensieri, anche solo scrivendo.
Io l’ho fatto, ho sgomberato la mia testa macchiando un foglio bianco con parole che possono sembrare disordinate, ma ho solo seguito il loro trambusto che spero presto di riuscire a sistemare, ogni cosa al suo posto, nel suo cassetto, eliminando ansie e paure che ingombrano soltanto.
Federica Cavallo Sabic