LA BOCCA DELLE DONNE. Quello che le femmine vorrebbero dire
Se tu fossi invitato a partecipare a una tavola rotonda sulla tutela dei diritti umani, di cosa parleresti? Ilaria, redattrice di Click!, ha fatto la sua scelta: ha scelto di dare voce alle donne. E tu?
‘È il gran giorno’. Queste erano le parole che continuavo a ripetermi.
Mi misi una mano fra i capelli mentre continuavo a fare avanti e indietro nella stanza.
‘È il gran giorno’. Era la frase che continuava a frullarmi nella testa.
Iniziai a cambiarmi, a breve avrei avuto la riunione con i miei coetanei.
‘È il gran giorno’. Tredici lettere, cinque sillabe, sei vocali e sette consonanti.
Oggi tutto cambierà, l’ho giurato a mia mamma, a mia nonna, l’ho promesso a tutte le donne.
Erano esattamente le nove in punto quando l’orologio suonò: era il momento della svolta.
Entrai nella stanza. Era spaziosa e di colore bianco, ma non un bianco qualunque, era freddo, glaciale; in mezzo alla sala vi era un tavolo, il tavolo. Non era un pezzo di legno qualunque, era in quercia, ma era diverso da come l’avevo immaginato: non luccicava, non emanava l’odore boschivo che tanto mi rammentava il ricordo di casa.
In breve, la tavola rotonda si gremì di persone e mi accorsi immediatamente di essere l’unica donna, senza contare quella di servizio. In poco tempo si fece tutto più chiaro: era il momento di parlare, era il momento di cambiare. Dopo brevi saluti e dopo le prime tre proposte, finalmente toccò a me; partii dai soliti convenevoli e in poco arrivai al punto clou del mio testo.
“Oggi vorrei proporre un tema a me caro, un tema legato non solo a me stessa, ma a tutte le donne. È un argomento che le persone tendono a sviare, a sdrammatizzare; è quel discorso che qualsiasi soggetto vorrebbe sorvolare e poi cancellare.
Solitamente non tendo a fare distinzioni che siano di carattere sessuale o etnico, ma per far recepire il messaggio sarò costretta a farlo. Le persone in questione, quelle citate prima, non sono mai femmine. Ed è qui che vorrei arrivare, al fatto che le ragazze, le signore, io, siamo viste come oggetti, come carne da macello, oggetto di violenza. Scusate la crudezza, ma non trovo altre parole adatte, nessuna è così forte, nessuna è così veritiera. Per violenza non intendo solo quella fisica, intendo quella sul lavoro, quella verbale, quella psicologica.
Vorrei porre una domanda a ognuno di voi qui presente, vorrei chiedervi: vi siete mai domandati qual è il salario medio di una donna? Ora che vi siete fatti un’idea, vorrei chiedervi di pensare al salario medio di un uomo.
Anche questa è violenza, quando due impiegati con lo stesso lavoro prendono stipendi diversi in base al sesso; è violenza sottopagare una persona, è violenza voltarsi a guardarle il fondoschiena quando passa per poi commentarlo e farci battutine.
Sapete cos’altro è violenza? Quando al posto di chiamarla per cognome, come qualsiasi altro impiegato, viene chiamata per nome, come se fosse una cara amica o qualcuno con cui si è in confidenza. È violenza assegnarle meno lavoro per paura che non lo sappia fare, è violenza commentare e ordinare a una donna come vestirsi.
Vi siete mai chieste quante sono le spose bambine? Quante sono le ragazze che perdono la causa in tribunale per via del proprio sesso? Credo molti di voi, quasi la totalità, non l’abbiano mai fatto; consiglio di consultare la Dichiarazione universale dei diritti umani. ‘Uguali davanti alla legge’, articolo sette; ‘Famiglia’, articolo sedici; ‘Lavoro’, articolo ventitrè…”
Fermai la lettura del discorso che mi ero preparata con tanta cura, amarezza, voglia di riscatto e speranza in un possibile cambiamento. Sentivo le gote in fiamme, non per l’imbarazzo, ma per il fuoco che ardeva in me; mi ero ripromessa che non avrei alzato i toni né che mi sarei fatta prendere dalle emozioni, e così feci. Dentro di me avevo un zoo, c’era una pantera che voleva uscire, ma l’obiettivo era quello di fargli aprire gli occhi, non di spaventarli.
Mi fermai a osservare le facce di ogni singolo individuo: vidi la donna di servizio alla porta con le lacrime agli occhi e un sorriso a trentadue denti, ma non era di sofferenza, era qualcosa di puro, era l’ottimismo che si era acceso anche in lei; poi passai al ragazzo seduto di fronte a me, aveva uno sguardo fermo, duro, ma gli occhi sono il riflesso dell’anima e dentro di lui potevo quasi scorgere il risentimento di essere sempre stato inerme di fronte a tutto ciò. Estesi il mio campo visivo al ragazzo dai capelli lunghi corvini, con un accenno di barba e gli occhi blu oceano; quando si accorse del mio sguardo puntato, mi sorrise, non con un’espressione qualunque, ma con una che mi incitava a continuare.
Molti avevano il capo chino, alcuni giravano la faccia pur di non incontrare la mia, altri con un solo cenno mi fecero capire che avevo colpito il bersaglio. Intanto nell’immensa stanza era filtrato un raggio del sole, il bianco delle pareti iniziava a illuminarsi e appariva più accogliente. Feci un bel respiro e ripresi.
“Ora che il concetto è arrivato, ora che ho, che abbiamo condiviso il nostro dolore con voi, vi illustro la mia proposta. Bisogna investire sulle donne, bisogna far sentire la nostra voce, bisogna far sentire una ragazza sicura, parte di una comunità e non come un burattino in un teatro. Bisogna cancellare qualsiasi disparità: non dovrà più esistere la frase ‘l’uomo è più forte’ o ‘la donna è più debole’.
Per far ciò abbiamo bisogno anche di voci maschili, abbiamo bisogno che ciò si diffonda talmente tanto, che faccia tanta pressione da diventare una vera e propria legge. Non vi sarà più solo una giornata dedicata alla violenza sulle donne, ve ne saranno molteplici; dovremo fare in modo che qualsiasi violenza, che sia un fischio per strada o una disparità, vengano sanzionate. Bisognerà far qualcosa di concreto, bisognerà arrivare in alto per avere successo. Bisognerà spendere fondi per le associazione che aiutano le donne, non si dovrà più restare fermi davanti a queste sofferenze.
L’educazione dovrà partire dalla famiglia per poi continuare anche nelle strutture scolastiche; queste ultime non dovranno insegnare alle donne come proteggersi, ma agli uomini come comportarsi. Nessuna signora dovrà più aver paura di uscire di casa da sola, nessuna donna dovrà essere messa nelle condizioni di portare con sé uno spray al peperoncino, nessuna donna dovrà più guardarsi le spalle ogni volta che esce la sera. I ragazzi verranno educati e verrà insegnato loro che una donna non va nemmeno sfiorata senza il suo consenso, che non va giudicata né considerata una domestica. Questa è la mia proposta per sensibilizzare la violenza: bisognerà combatterla con l’istruzione e, se non venisse accolto l’insegnamento, la persona dovrà rispondere direttamente al giudice in tribunale”.
Terminai il mio monologo, mi sentii più leggera, più felice, mi brillavano gli occhi.
‘Ci sono riuscita’, queste erano le parole che continuavo a ripetermi.
Mi misi una mano fra i capelli mentre continuavo ad ammirare la stanza.
‘Ci sono riuscita’, questa era la frase che continuava a frullarmi nella testa.
L’immensa camera era totalmente illuminata dal sole; il bianco ora sembrava come quello delle pareti di casa mia, era così caldo.
‘Ci sono riuscita’ quattordici lettere, sei sillabe, sette vocali e sette consonanti.
La quercia ora appariva luminosa, profumava; il tavolo sembrava quello dove mi riunivo con tutta la mia famiglia a Natale.
Ci ero riuscita per davvero, avevo reso onore a tutte le ragazze, avevo reso fiera mia mamma, la signora delle pulizie, me stessa.
Ci ero riuscita, ora mancava solo la grande svolta.
Ilaria Gentilucci