Judge, Jury and Executioner: George Floyd e la questione Americana
È la sera del 25 Maggio a Minneapolis. George Floyd si trova in macchina quando i suoi carnefici bussano al finestrino. Il signor Floyd è stato segnalato da un negoziante per aver pagato con moneta falsa e ciò rende necessario l’intervento. L’incontro fra Floyd e i suoi boia sarà sicuramente iniziato con la solita routine: Salve, abbassi il finestrino, mi faccia vedere il documento di circolazione… ma presto la situazione degenera. Nel giro di pochi minuti George si trova faccia sull’asfalto, sovrastato dal peso del corpo di uno dei boia. È completamente immobile, schiacciato dal ginocchio dell’esecutore. Impotente. “I can’t breathe… please” (non riesco a respirare… vi prego) urla con il poco fiato che gli rimane. I passanti cercano di aiutarlo come possono. Iniziano a scongiurare i carnefici di lasciarlo andare, di farlo respirare, di controllare il suo battito. Di non ucciderlo. Dopo 3 minuti e mezzo George sviene. Ma il boia non molla. Gli spettatori dell’esecuzione, impotenti, insistono ancora di più. “Ma non vedete?? È svenuto! Lasciatelo!”. Il boia non molla. Dopo altri 4 minuti e mezzo viene finalmente lasciata la presa. Floyd è rimasto schiacciato per ben 8 minuti. Il suo corpo, incosciente, viene adagiato sulla barella e caricato in ambulanza, sempre sotto gli occhi degli spettatori che hanno fatto l’unica cosa che potevano fare: documentare il tutto e rendere testimone il mondo dell’esecuzione pubblica a cui hanno assistito.
Alle 21:25 Floyd viene dichiarato morto all’Hennepin County Medical Center.
Cosa poteva pensare Floyd negli ultimi attimi della sua vita? Pensava alla sua famiglia, questo è sicuro. Pensava ai momenti più belli, assistendo ai ricordi sfilare dinanzi ai suoi occhi. Ma, essendo un essere umano, pensava anche al perché della sua fine. “Com’è potuto succedere? Per quale motivo mi trovo qui?”
“Sarà perché ho opposto resistenza all’arresto?”
Eppure le immagini delle telecamere di sorveglianza, circolate su internet qualche giorno dopo la morte di Floyd, parlano chiaro: lui non ha opposto resistenza all’arresto, come invece vollero far credere le forze dell’ordine.
“Sarà perché pensano io sia armato?”
Domanda ragionevole, considerando la complicità delle armi nei casi di uccisione da parte delle forze dell’ordine o in generale nella cultura Statunitense. Basti pensare che “Non esiste un paese dove la popolazione civile sia più armata che negli Stati Uniti. In un anno in media gli Americani comprano più armi di quante ne possiedano tutte le forze dell’ordine del mondo.” (Francesco Costa, Questa è l’America). Le conseguenze di ciò si vedono nei dati. Il 2017 ha visto un picco di morti per armi da fuoco che non si vedeva dal 1968: 39.773 morti. 23.854 suicidi e 14.542 omicidi. Eppure i dati rappresentano soltanto il prezzo di sangue pagato per questa cultura. C’è un altro prezzo da pagare: quello psicologico. L’angoscia, la paura di venir coinvolti in una delle tante sparatorie che avvengono ogni anno. Ma anche la paura di venir uccisi dalla polizia.
La polizia statunitense è, infatti, tristemente nota per il suo grilletto facile. Nel 2019 i Poliziotti Americani hanno sparato e ucciso (quindi escludiamo i feriti) 1.099 persone. Un dato sconcertante ma che si comprende meglio se consideriamo che ogni cittadino statunitense, mentre vaga liberamente per le vaste terre dei grandi Stati Uniti, potrebbe avere con sé un’arma. Eppure in questo schema qualcosa non torna.
Come mai in America le persone di colore hanno 3 volte più possibilità di essere uccise dalla Polizia rispetto ai bianchi? Come mai quasi 1 persona su 4 di quelle uccise dalla polizia è di colore, considerando che queste rappresentano il 13% degli abitanti negli Stati Uniti? Come mai una persona di colore su 3 uccisa dalla polizia risultava essere disarmata?
Come mai proprio George Floyd? Un uomo responsabile soltanto di aver usato una banconota falsa. Un uomo che non ha opposto resistenza all’arresto. Un uomo che era già stato perquisito e che risultava disarmato. Un uomo che ha implorato di essere risparmiato.
Un uomo di colore.
“Sarà perché non sono bianco?”
Vorremmo tanto rispondere di no. Vorremmo avere fiducia nel fatto che le discriminazioni di razza appartengano al passato. Vorremmo tanto che un paese così influente sulla nostra sfera politica e economica, un paese che ammiriamo tanto per il suo insanabile ottimismo quanto per la sua sterminata produzione artistica, avesse risolto la questione razziale. Eppure esempi come Martin Luther King non sono affatto bastati. Ce lo dicono i dati citati prima, come ce lo dice l’ondata sempre più crescente di terrorismo legato a movimenti di estrema destra (ricordiamoci la Sparatoria alla Sinagoga di Pittsburgh e quella al Walmart di El Paso), figlia di una crescente radicalizzazione resa possibile anche da comunità su internet come 4chan. Ce lo dice il fatto che il 73% delle persone di colore negli Stati Uniti ritiene che l’ascesa di Trump alla Presidenza abbia peggiorato i rapporti fra “Razze”. Ma ce lo dicono soprattutto le vittime silenziose del razzismo radicato nel corpo di polizia.
Dobbiamo ricordarci di Eric Garner, ucciso nel 2014 anche lui per soffocamento, come di Philando Castile, ucciso mentre cercava di cooperare con i poliziotti che l’avevano fermato, per arrivare a George Floyd percorrendo la scia di sangue che vediamo allungarsi ogni giorno di più.
George Floyd potrebbe aver visto un mosaico realizzarsi mentre cercava di spiegarsi il perché della sua condanna. Un mosaico che potrebbe comporre una sorta di perversa bandiera americana.
Dobbiamo pensare a una bandiera il cui le strisce bianche rappresentano il razzismo ancora dilagante nei vari strati della popolazione; in cui le strisce rosse rappresentano il sangue versato dai cittadini ogni anno per garantire il sacrosanto secondo emendamento; in cui il blu rappresenti la codardia e la meschinità delle forze dell’ordine che, proteggendo i propri colleghi razzisti e violenti, consentono ancora che molti criminali in divisa restino impuniti; e in cui, fluttuando nel blu, vi sia una stella per ogni cittadino innocente assassinato dai poliziotti.
Mattia Falzarano, in collaborazione con Emergo http://emergogiornale.it/