IO, ROBOT: sfida alle Leggi della robotica
“Siamo nel 2035 e i robot sono programmati per vivere in armonia con gli uomini e fanno parte della vita di tutti i giorni. Un giovane agente di polizia, l’agente Spooner, indaga sull’omicidio di un brillante scienziato, anche suo amico, che stava lavorando sulla prossima generazione di androidi: ancora più umani nell’aspetto e dotati di raziocinio. Durante le proprie indagini il detective dovrà confrontarsi con la comunità robotica, da lui odiata, e con la dottoressa Susan Calvin, psicologa IA, e le memorie della vittima, entrambi compagni essenziali per la ricerca e sconfitta dell’assassino”.
“Io, Robot”, diretto dal regista Alex Proyas nel 2004, è un film fantascientifico che trova ispirazione nelle leggi della robotica formulate nei primi del ‘900 dal leggendario scrittore e biochimico Isaac Asimov. Proyas immagina e proietta gli spettatori non nel classico futuro dove esistono macchine volanti e strutture edilizie dal design futuristico, ma in una realtà dove uomo e macchina convivono. Il film, a cavallo tra la fantascienza e il genere d’azione/thriller, presenta interessanti chiavi di lettura. L’ambientazione, Chicago, è estremamente originale: gli interni delle abitazioni dell’agente Spooner e della madre presentano uno stile vicino a quello che è l’arredo dei giorni nostri, in contrapposizione con quello della dottoressa Susan Calvin, assai più domotizzato. La città stessa non è altro che l’interpolazione degli odierni edifici condominiali con minime, ma essenziali, decorazioni dal design innovativo, al fine di rendere chiaro il contesto temporale in cui è ambientata la vicenda.
Altro spunto di riflessione è quello delle interazioni uomo-automa: la società descritta dal regista è di fatto una forma di rivisitazione del concetto di “schiavitù”. Proyas, dando un volto umano alle macchine che svolgono compiti al posto dell’uomo, come cucinare o tutelarci in ogni altro aspetto della quotidianità, influenza la psiche dello spettatore sensibilizzandolo per tutto l’arco della pellicola sulla condizione della civiltà robotica sottomessa alle volontà di quella umana.
Ci sono poi i due opposti: la dottoressa Calvin, Bridget Moynahan, che vede nei robot a interazione sociale il più grande successo della specie umana e l’agente Spooner, interpretato da Will Smith, che in loro non vede altro che il demonio. Spooner riconosce gli automi come un complesso di cavi, metallo e impulsi elettrici che elabora informazioni e basa la propria morale sulla statistica e la probabilità.
Più importante di tutti, forse il vero emblema del film, è Sonic: il primo e unico automa dotato di raziocinio che non è sottoposto alle tre leggi Asimoviane (“Prima Legge della robotica: un robot non può recar danno a un essere umano e non può permettere che, a causa di un suo mancato intervento, un essere umano riceva danno. Seconda Legge della robotica: un robot deve obbedire agli ordini impartiti dagli esseri umani, purché tali ordini non contravvengano alla Prima Legge. Terza Legge della robotica: un robot deve proteggere la propria esistenza, purché la sua autodifesa non contrasti con la Prima o con la Seconda Legge”). Dall’aspetto umano, sia nel corpo che nelle espressioni del viso, capace di provare emozioni e di sognare, Sonic rappresenta la più grande delle metafore mai concepite nell’ambito delle interazioni tra uomo e robot: messo di fronte a una qualsiasi persona, Sonic le è completamente fratello se non per il sangue fatto di elettroni, i tendini di pistoni e i nervi di circuiti a fibra ottica. È iperbole e metafora del razzismo, interpolazione della natura terribilmente fredda dell’umanità e, soprattutto, è argomento di analisi per la società che, ai giorni nostri, discute su quello che sarà il futuro della robotica e la morale che la specie umana dovrebbe adottare nei suoi confronti.
“Io, Robot” è un film d’azione capace di istruire adeguatamente da molti punti di vista il tema della robotica e di lasciare allo spettatore, durante i momenti più lenti e macchinosi della pellicola, la possibilità di farsi una propria idea in merito all’intelligenza artificiale e alla domotizzazione senza perdere il filo logico che collega tra loro gli eventi del film. Per un pubblico poco attento, potrebbe tuttavia risultare complesso cogliere molti spunti di riflessione e degenerare nel classico film alla Will Smith “spara, pausa, uccidi”.
Alessio Sala