IO NON SONO RAZZISTA, MA…
Una riflessione di Manuel Coletti a partire da una frase che sentiamo pronunciare molto (troppo?) spesso…
Di solito, mentre ci si trova con parenti e amici di famiglia a tavola, a un certo punto è inevitabile che un “Io non sono razzista, ma…” salti fuori, frase generalmente seguita da un luogo comune verso una qualsiasi etnia, spesso identificata con un generico “gli stranieri” o ultimamente, nello specifico, “gli Africani”.
Certo, è facile al giorno d’oggi “non essere razzisti, ma…”: secondo molti italiani è ovvio che la radice di tutti i mali siano gli immigrati.
Lo stato italiano o, meglio, noi italiani, ogni giorno versiamo fior di quattrini per loro, e loro in cambio… cosa fanno? Delinquono, spacciano, rubano e soprattutto ci privano di molti diritti. Ad esempio, la casa popolare e il lavoro spettano prima a noi italiani, alla fine siamo noi che viviamo praticamente da sempre qui nella nostra bellissima penisola, siamo noi il popolo per eccellenza che affonda le proprie radici nella cristianità e non di certo nella religione che predicano loro, ma… Ma la realtà si puó leggere in modo così superficiale, oppure c’è un qualcosa di più profondo che vale la pena ascoltare?
Molte volte, chi la pensa diversamente da chi “non è razzista, ma”, chi insomma propone accoglienza e integrazione, chi ha il coraggio di dire “aiutiamoli (anche) a casa nostra”, viene accusato di essere “nemico del popolo italiano”.
Non è invece così: chiunque sta in questo paese e vive con noi, mangia con noi, esce, si diverte e a volte litiga anche con noi, deve essere giudicato come italiano al 100%. Si tratta di persone che, come noi, si lamentano costantemente di tutto, dal prezzo della benzina al più banale meteo.
Pensano, parlano e agiscono semplicemente da… italiani. Hanno il diritto di farlo? Certo! Perché alla fine l’importante non è nascere in Italia, ma quel che conta è amare questo paese, conta interessarsi dei problemi reali che affliggono la nostra ormai povera nazione, dalla crescita inesistente alle mafie che uccidono il nostro futuro, che ad esempio avvelenano i campi coltivati, gli stessi campi da cui i nostri nonni e i nostri padri traevano di che vivere…
Troppo facile banalizzare sempre tutto e addossare le colpe della propria impotenza nel risolvere i problemi su una categoria facile da discriminare. Poniamo il caso che da domani si chiudessero completamente le frontiere e nessuno potesse più entrare (ma nemmeno uscire: i numeri parlano di 250.000 italiani che ogni anno emigrano, numeri superiori a quelli delle persone straniere che si stabiliscono in Italia…): credete che la situazione migliorerebbe?
Assolutamente no. La droga circolerebbe ancora senza problemi, le mafie continuerebbero a corrompere chiunque e ad avvelenare tutto ciò che c’è ancora di vergine, l’evasione fiscale non diminuirebbe affatto. Eppure ci basta e soprattutto ci piace pensare che, senza l’arrivo dei migranti, ci possa essere un futuro migliore per i nostri figli. Ma la realtà è ben diversa: i veri problemi sono altri, e a rubare il futuro ai nostri figli sarà sempre un mafioso, un evasore, un politico corrotto o un omertoso, mai una persona che lascia ricordi e affetti per scappare assieme ai propri cari e con tutti i propri risparmi di una vita, per affrontare un viaggio la cui sola destinazione è un’incognita, un viaggio in cui essere pestati e violentati è all’ordine del giorno, in cui arrivare sani e salvi non è una banalità.
Arrivare in Italia. Terra di “brava gente”, terra di “migranti”, terra di “santi, marinai e poeti”, per dire delle ovvietà palesemente però tradite dal razzismo strisciante odierno. Terra “cristiana”. E allora se è vero che “non possiamo non dirci cristiani”, è altrettanto vero che dovremmo essere sempre pronti ad aiutare e ad accogliere il diverso e lo straniero, chiunque esso sia, senza mai discriminare: è ingenuo nascondersi dietro a concetti superficiali basati su pregiudizi per giustificare la propria xenofobia, andando a ricercare il motivo magari proprio nella religione di chi approda sulle nostre coste (per Cristo non eravamo tutti fratelli?) o nelle disgrazie che purtroppo affliggono altri cittadini italiani (e che nessuno intende sottovalutare per aiutare i migranti, le due cose non sono né in contraddizione né in conflitto).
Io mi metto nei panni di un migrante, e invito chiunque a farlo. Dopo un viaggio fatto anche di dolori psichici e fisici, dopo essere stato giorni in balia del caldo asfissiante e delle onde, arrivato in Italia, improvvisamente, ti ritrovi delle persone che, invece di aiutarti, ti discriminano, ti insultano e successivamente ti “rispediscono” indietro in un paese che ti imprigionerà e ti lascerà morire di fame schiacciato tra le feci, il sudore viscido di altri disgraziati e la secchezza della sabbia sotto le suole dei piedi, vigilato da persone che se ti vedono dormire ti prendono e ti torturano con scosse elettriche, strappandoti le unghie dei piedi a forza con la tenaglia, per poi essere anche pestato e riempito di lividi (ciò che succede in Libia, oggi n.d.a.).
Riempito di lividi sul viso, quel viso molto simile al tuo, nonostante le apparenze più superficiali, molto simile, secondo i parenti, al nonno con cui in campagna da piccolo andavi molto d’accordo, mentre ti riecheggia ancora nella testa il frastuono quasi assordante delle cicale sugli alberi e il rumore metallico delle biciclette mezze rotte con cui andavi in giro fingendo di essere Valentino Rossi, quando lo vedevi a mezzogiorno nella vecchia televisione di tua nonna (che solo tu sai quante botte gli arrivavano a quella tv, che aveva la sola colpa di non ricevere bene il segnale).
Ed è forse perché negli occhi di queste persone io vedo tutto questo, e vedo poi mio nonno da piccolo, vedo mio padre da piccolo e vedo soprattutto me da piccolo, vedo noi, vedo tutti noi in quegli occhi stanchi e oramai senza speranza, occhi innamorati di un ricordo ormai sbiadito dal tempo, che mi vien da pensare che accoglierli sia un dovere di ognuno di noi che condivide l’amore per la propria terra, per i propri campi e che, anche se è consapevole dei suoi difetti, ama questo paese alla follia, e sa che una volta lontano da qui gli mancherebbero tutti i pregi e tutti i difetti che solo l’Italia ha… Ed è per questo che dico anche io, con onore e con amore: “IO NON SONO RAZZISTA, E SONO ITALIANO”.
Poi possono dirle di tutti i colori, tirar fuori i soldi che vengono spesi, i tassi di criminalità e quello che vogliono, possono distorcere e gonfiare alcune realtà a colpi di selfie e di post, di battute ciniche e di paure inculcate nell’animo dei più fragili, ma loro sono e rimarranno sempre e solo dei razzisti.
D’altronde sono e siamo dell’idea che: “Non conta se ci nasci, conta se la ami” J-Ax
Manuel Coletti