Il piacere della LETTURA
Leggere un libro può essere ancora un piacere? Dopo aver parlato del piacere della scrittura, e soprattutto dopo aver pubblicato un libro (Esra_Vores_e_la_Leggenda_dello_Spirito_del_Potere di Alessio Sala), riflettiamo sul ruolo della lettura oggi, sul suo significato e sui diritti del lettore. Non possiamo che augurarvi dunque… buona lettura!
Per centinaia di anni, prima dell’avvento della tecnologia che ha dato vita a radio, televisione e, infine, a computer e internet, la scrittura su carta stampata è stata l’unico modo per immortalare un’informazione, cioè scriverla e fare in modo che diventasse una risorsa di cui poter usufruire.
Sorprendente è il fatto che, ancora oggi, la carta vada ancora di moda. Sorge però spontanea una domanda: perché dovremmo ancora volere il libro come mezzo di informazione? Se possiamo usufruire delle stesse informazioni tramite i mezzi tecnologici digitali, perché non mettere da parte completamente la carta?
Un paradosso simile va a crearsi nel romanzo distopico Fahreneit 451, di Ray Bradbury, nel quale i libri sono addirittura aboliti per fare spazio a mezzi d’informazione più controllati quali radio e televisione. Il romanzo distopico di Bradbury si esprime chiaramente sul perché una realtà in cui leggere e possedere libri è proibito per legge non sia auspicabile, ed è anche difficile immaginare che si possa arrivare a tanto. Emerge quindi un’incontestabile verità: i libri sono ancora adesso il mezzo d’informazione più sincero e crudo. Senza i colori sgargianti di uno schermo, senza spezzoni di video rattoppati ad hoc per trasmettere una ben architettata bugia. Solo caratteri, parole, frasi, pensieri.
Insomma, i libri sono ancora adesso il mezzo migliore per scrivere e raggiungere più a fondo la mente e il cuore delle persone. Come scrive Nuccio Ordine, in Leggere può cambiare la vita sul Corriere della Sera:
“L’incontro con un classico può provocare una metamorfosi o, addirittura, può cambiare la vita. Basta scorrere le biografie o le autobiografie di scrittorie di filosofi, di poeti e di scienziati per trovarne testimonianza”
Sorge spontanea un’altra domanda, a questo punto: in questa era sovrastata dalla tecnologia, da cosa nasce il bisogno di ricercare un libro? Gianni Rodari, in Il cane di Magonza, dichiara:
“Non si nasce con l’istinto della lettura, come si nasce con quello di mangiare e bere. Si tratta di un bisogno culturale che può essere innestato nella personalità infantile. Operazione quanto mai delicata, perché il solo paragone che sopporta è quello con l’innesto di un nuovo senso: il senso del libro, la capacità di usare anche del libro come di uno strumento per conoscere il mondo, per conquistare la realtà, per crescere.”
Detto in parole povere, nessuno è naturalmente orientato verso la lettura: non stiamo parlando infatti di una necessità primordiale, ma di qualcosa che, all’uomo moderno, serve come strumento per “conoscere il mondo” e talvolta per conoscere se stessi e cercare delle risposte alle proprie domande. Il poeta Cesare Pavese in Il mestiere di vivere approfondisce questo tema:
“Leggendo non cerchiamo idee nuove, ma pensieri già da noi pensati, che acquistano sulla pagina un suggello di conferma. Ci colpiscono degli altri le parole che risuonano in una zona già nostra – che già viviamo – e facendola vibrare ci permettono di cogliere nuovi spunti dentro di noi”
Tornando alla necessità della lettura, ovviamente siamo abituati a pensare che tale necessità debba nascere dalla scuola, un tipo di ambiente predisposto all’insegnamento, talvolta anche dei grandi classici della letteratura. E se invece la scuola ottenesse l’effetto contrario? Possibile, ma non per forza scontato. Il segreto risiede nel metodo. Come scrive Daniel Pennac, in Come un Romanzo:
“Il verbo leggere non sopporta l’imperativo, avversione che condivide con alcuni altri verbi: il verbo “Amare”…il verbo “sognare”…”
Emerge così una realtà dei fatti comune all’esperienza di molti ragazzi: non si può forzare uno studente all’appassionarsi ad un determinato libro o autore. Non si può imporre una cosa simile: “Su forza, appassionati a questo libro!”; “Acculturati come ti dico io!”. Frasi simili più vengono rilette e più risultano stupide e insensate, eppure il nocciolo della modalità scolastica “classica” di avvicinare i giovani alla lettura è questo. Ovviamente, in gran parte dei casi l’effetto sortito è l’opposto.
Come fare allora? Perché non iniziare a concedere più libertà ai giovani studenti? Sempre Daniel Pennac dichiara:
“In fatto di lettura, noi lettori ci accordiamo tutti i diritti, a cominciare da quelli negati ai giovani che affermiamo di voler iniziare alla lettura
- Il diritto di non leggere
- Il diritto di saltare pagine
- Il diritto di non finire un libro
[…] Se vogliamo che mio figlio, mia figlia, i giovani leggano è tempo di concedere loro i diritti che accordiamo a noi stessi”
Ovviamente soltanto le libertà, per quanto belle possano essere, non bastano affatto. Serve quel tocco “magico”, la cosa che più di tutte può instillare nella persona la curiosità verso la lettura: trasmettere la passione. Leggere le prime pagine di un libro, interpretare frasi o parole, parlare di libri che si ha apprezzato e a cui si è affezionati… sono solo alcuni dei modi per trasmettere la passione per la lettura a qualcun altro, e non è necessario essere un insegnante. Tutti possono farlo. Genitori, amici, parenti… trasmettere il piacere della lettura è qualcosa alla portata di tutti.
Mattia Falzarano