IL CORAGGIO DI RICOMINCIARE
Questo è un giorno speciale. Siamo chiamati a rialzarci dopo un periodo difficile: tutti noi ne abbiamo bisogno, forse come mai prima. Tornare a scuola in presenza è un rischio e al contempo una grande opportunità. Noi di Click! vogliamo coglierla e vogliamo tornare a sperare. Per farlo, pubblichiamo per i nostri lettori un racconto dedicato a chi non si arrende. Una storia che punta al cuore di chi sta cercando il coraggio di ricominciare.
24-23: mancava un solo punto per portare a casa la vittoria.
Intorno a me c’erano tutti i miei amici, la mia famiglia e le famiglie delle mie compagne di squadra che continuavano a incitarci e a fare i cori; alla mia sinistra c’era il mio allenatore che continuava a urlare gli schemi.
Battuta nostra, le avversarie ricevono, passano la palla a noi, il nostro libero difende, passa la palla al palleggiatore che fa un ottimo palleggio. Tocca a me, mi preparo a fare la rincorsa, stacco i piedi da terra, colpisco la palla con tutta la forza che avevo e… STOP! L’arbitro segnò punto alle avversarie.
A quel punto non capii più niente, ero a terra, provai ad alzarmi ma nulla, sentii un rumore secco simile a uno scrocchio, in poco tempo il mio ginocchio si gonfiò. Ero distesa a terra, intorno a me vidi le mie compagne. Avevano tutte delle facce a dir poco preoccupate. Provai più volte ad alzarmi, ma nulla, il mio ginocchio non mi reggeva. Il mio allenatore mi prese in braccio e mi portò in panchina, mi mise del ghiaccio e mi diede una felpa per coprirmi.
Dagli spalti arrivò mia mamma, mi diede un bacio e mi chiese come stessi. Con gli occhi lucidi le chiesi: “Vero che martedì posso andare agli allenamenti?”. Non mi importava tanto se mi faceva male o meno, io volevo continuare a giocare. Provai ad alzarmi più e più volte. Volevo dimostrare che ce la facevo, ma nulla, il mio ginocchio non collaborava.
La prima cosa che fece mia mamma fu portarmi in ospedale. Lì mi fecero tutti gli accertamenti e purtroppo quello che più temevo fu confermato: rottura del crociato. Mi operarono, avevo tanta di quella paura, paura di non farcela, però per fortuna l’operazione andò bene.
Dopo l’operazione mi dissero che dovevo fare riabilitazione, però non era una riabilitazione semplice. Siccome il mio ginocchio rispondeva lentamente alla terapia, non si sapeva se sarebbe bastata per farmi tornare a giocare a pallavolo. Dal quel giorno il mondo mi crollò addosso, non volevo più nemmeno fare riabilitazione. Volevo semplicemente tornare a giocare a pallavolo, tornare a schiacciare, a urlare, a fare casino con le mie compagne negli spogliatoi perché avevamo vinto. Ora, invece, l’unica cosa che potevo fare era stare distesa nel letto e ogni volta che mi dovevo fare la doccia era un casino, perchè non mi potevo bagnare il tutore che mi serviva a camminare.
Da quel maledetto giorno non andai più a una partita della mia squadra, non parlavo più di pallavolo o guardavo post inerenti alla pallavolo e quando per strada mi chiedevano come avessi fatto a farmi male me ne andavo e lasciavo che mia mamma rispondesse per me.
Entrai in depressione, mangiavo sempre di meno e a volte pensavo semplicemente di voler mollare tutto. Non ero più la stessa di prima, parlavo poco e mi facevo aiutare per ogni singola cosa e alla sera nel mio letto guardavo la mia gamba e piangevo a dirotto. A scuola andavo male, mi rifiutavo completamente di studiare, rispondevo male e ogni giorno facevo impazzire mia mamma.
Quella vita non riuscivo ad accettarla, la pallavolo era tutto per me. Ormai avevo capito che la mia carriera pallavolistica era finita lì quella sera a quella partita. Infatti decisi di mollare anche la terapia. Riuscivo a camminare e questo era l’importante. Pallavolo non volevo più farla e neppure nominarla. Era un discorso chiuso per me…
Una sera suonarono alla porta. Ero in casa da sola e quindi andai per forza ad aprire io: erano le mie compagne di pallavolo, era la mia squadra. Inizialmente quando le vidi mi venne voglia di chiuder loro la porta in faccia, ma dalla mia bocca uscì semplicemente: “Oggi è martedì, non dovreste avere gli allenamenti? Perché siete qui?”.
E loro mi dissero: “Siamo qui perché a noi manchi tu, ci manca la tua grinta, ci manca il tuo modo di fare, ci manca ogni singola cosa di te. Sappiamo che ormai per te la pallavolo è un argomento chiuso ma dentro di te sappiamo ancora che c’è la voglia di afferrare il pallone e colpirlo con tutta la tua potenza”.
Mi guardarono e mi dissero: “Questo è per te”.
Era un album di fotografie. All’interno c’erano delle foto di me mentre giocavo, di noi ragazze tutte abbracciate alla fine delle partite, c’erano tutti i nostri ricordi più belli e alla fine in grande c’era scritto: “Torna che ci manchi”, con tutte attorno le firme delle mie compagne.
Davanti a loro dissi semplicemente: “Io non torno, non ci metto piede nella palestra e ora per favore andate agli allenamenti”, e le cacciai di casa.
Chiusi la porta, ripresi in mano l’album, lo sfogliai e iniziai a piangere. A me la pallavolo mancava, ma quello che mi frenava più di tutto era la paura di potermi rifare male, ero completamente bloccata.
Tutto ciò di cui avevo bisogno era il coraggio, coraggio di affrontare quella maledetta paura che ogni giorno era nella mia testa. Avevo veramente bisogno di combattere contro la mia paura più grande, perchè alla fine il coraggio è la strada che ti porta a far quello che davvero desideri, il coraggio è la capacità di soffrire per poi tornare più forte di prima, perchè alla fine è il coraggio che conquista il mondo.
Esattamente dopo un anno e mezzo ci sono riuscita, sono riuscita a completare la terapia, sono riuscita a portare a termine ciò che mi ha fatto stare più male in assoluto.
Ed eccomi qui ora, dopo un sacco di esercizi e allenamenti in più, sono riuscita a tornare in palestra, sono riuscita ad affrontare quella paura che mi tormentava le giornate. Ora sono in campo, in campo ad affrontare quelle avversarie che due anni fa ci hanno rubato la vittoria.
24-25: manca solo un punto alle avversarie per poter vincere. Per me questa vittoria significherebbe molto, sarebbe un punto di ripartenza.
Battuta da parte delle avversarie, riceve una mia compagna, passa la palla al palleggio, ora toccherebbe a me, vado, salto, colpisco la palla, e…FIIIIUUUU!!!
L’arbitro segna punto alle avversarie. La palla finisce in rete, ma io sono riuscita ad atterrare in piedi senza farmi male. Anche se abbiamo perso, sento che tutto il pubblico fa il tifo per me.
Guardo le mie compagne e urlo: “Sono tornata!”
Giada Granatino