I ragazzi del Beccaria raccontati da Don Burgio
Sabato 18 Marzo le classi seconde dell’Einstein hanno incontrato Don Burgio, cappellano del carcere minorile Beccaria di Milano. Durante l’incontro si è parlato di vari argomenti, dai reati più comuni fra gli adolescenti alle storie che stanno dietro ad alcuni ragazzi finiti in carcere.
“Secondo voi quali sono i reati più diffusi fra i ragazzi che arrivano al carcere minorile?”. Questa è la prima domanda che viene posta da Don Burgio agli studenti appena arrivati in auditorium. Don Burgio, cappellano del carcere minorile Beccaria di Milano, non a caso ha iniziato l’incontro con le 4 classi con una domanda. L’intero incontro infatti si svolgerà più come un dialogo che come una conferenza. Qualche volta il cappellano farà una domanda agli alunni e, viceversa, in altri momenti darà agli alunni la possibilità di fare domande.
La risposta dei ragazzi alla sua domanda d’apertura, inizialmente, è un leggero brusio. Tuttavia, da qualche voce un po’ più alta delle altre emerge la parola “Spaccio”. E il cappellano inquadra subito due concetti chiave per comprendere meglio questo reato: “lo spaccio è il terzo reato più diffuso fra i minorenni e spesso non viene neanche considerato come un reato vero e proprio!”
Per farci capire meglio la cosa, il cappellano ci racconta di un ragazzo, uno dei tanti entrati al Beccaria di Milano. Questo ragazzo all’età di 14 anni era già nel giro dello spaccio di cocaina nei pressi di Bergamo. Adesso ha scontato la sua pena ed è in comunità, tuttavia, appena entrato al Beccaria, non riteneva giusto il suo arresto sostenendo: “Vendevo a gente di 40-50 anni la roba, non li obbligavo io a comprarla”. Alla fine l’ex criminale, scontata la sua pena, ha capito dove stava sbagliando.
Secondo Don Burgio, infatti: “Se uno spacciatore pensa solo a se stesso, allora dal suo punto di vista vende e basta. Il problema è che facendo questo fa del male a qualcun altro e spesso chi compra la roba è un dipendente che va dallo spacciatore perché non può fare a meno della droga”. Inoltre, “dalla tossicodipendenza si arriva ai furti per procurarsi i soldi per la roba e infine si arriva al Beccaria. Conosco moltissimi casi simili”. Don Burgio a riguardo precisa che: “I giudici minorili non vogliono punirti, ma aiutarti a capire. Un ragazzo finisce al Beccaria non per punizione, ma per capire dove ha sbagliato e, eventualmente, riabilitarsi”.
Dopo il reato di spaccio, gli viene chiesto di parlare anche del reato di omicidio. Il cappellano racconta: “Questo ragazzo andava al Liceo Scientifico e giocava a Calcio in serie C, era molto bravo. Una sera al bar con gli amici uccise un uomo in una rissa. Ha dovuto interrompere la scuola, che ha ricominciato e finito in seguito, e ha scontato la sua pena. Tuttavia la sua carriera calcistica è finita lì, quella sera”. Reati del genere fra i ragazzi spesso avvengono per impulsività, quando non si ragiona. I casi di ragazzi che uccidono in maniera premeditata sono, invece, molto rari.
Il cappellano pone un’altra domanda agli studenti: “Quali sono le motivazioni per cui i ragazzi commettono questi reati?” Stranamente, questa volta, la risposta da parte degli studenti è il silenzio, per cui il cappellano nomina una delle motivazioni che più saltano al pensiero: i soldi.
Come esempio, usa la storia un altro ragazzo arrivato al Beccaria. Questo ragazzo, piccolo rapinatore di banche, a differenza di molti altri non utilizzava i soldi per sostanze stupefacenti, visto che non ne aveva a che fare, ma per costruire la propria immagine. La filosofia di vita dell’ambiente in cui era cresciuto era quella del “senza i soldi non sei nessuno”: quindi, attraverso i reati, rimediava i soldi che servivano, tramite vestiti, gioielli e serate, ad accrescere la sua immagine di boss del quartiere. Si sa, l’immagine conta già tra i ragazzi non coinvolti in reati, figuriamoci per i piccoli criminali del Beccaria. Don Burgio infatti dice: “Per l’immagine i ragazzi vengono indotti a commettere reati, per accrescere il proprio ego. Con i soldi credi di essere già uno arrivato”. Alla fine l’ex rapinatore, dopo una storia travagliata in carcere, ha deciso di farsi qualche domanda che l’ha portato a uscire dall’istituto penitenziario, andare in comunità e poi riprendere la scuola.
Fra gli altri motivi per cui gli adolescenti si danno alla criminalità, il Don cita anche situazioni familiari particolarmente difficili. A proposito dice: “Non tutti sicuramente hanno una storia perfetta alle spalle. Ma come si fa a uscire da questo problema? Lo si deve solo subire? Bisogna incominciare a pensare, non a spegnersi. Tutti hanno la possibilità di cambiare”.
In particolare quest’ultima frase, “tutti hanno la possibilità di cambiare”, è il messaggio che Don Burgio ci ha voluto lasciare. Le storie di come i ragazzi entrati al carcere minorile siano poi usciti e abbiano intrapreso una vita adulta fuori dalla criminalità sono state l’esempio più valido che ci poteva dare. Dagli ex spacciatori, agli ex rapinatori, parte di loro ha saputo affrontare la propria “punizione” e farne tesoro per il futuro. Don Burgio, con un modo di comunicare diretto e schietto, ha saputo mandare questo messaggio in modo che tutti gli studenti presenti potessero recepirlo in pieno.
Mattia Falzarano