HUMANDROID – L’educazione di una coscienza artificiale
Il film di fantascienza diretto da Neill Blomkamp e ambientato in un ipotetico 2016, offre spunti di riflessione stimolanti sul ruolo dell’educazione, sul rapporto uomo-macchina e sui limiti della legalità e della giustizia.
Era il 2004 quando l’allora venticinquenne regista Neill Blomkamp sceneggia e dirige Tetra Vaal, un breve cortometraggio di circa due minuti in cui promuove una fittizia azienda produttrice di robot che si occupano di controllare i quartieri del terzo mondo come dei veri e propri poliziotti. Undici anni dopo, nel 2015, con lo stesso soggetto del cortometraggio, sviluppa Humandroid, un film di fantascienza ambientato in un ipotetico 2016 in cui, a causa di un eccessivo aumento della criminalità nella città sudafricana di Johannesburg, vengono costruiti degli scout, ovvero dei poliziotti robot, con l’intento di fermare il fenomeno.
Deon Wilson, l’ingegnere creatore di questi robot dotati di intelligenza artificiale, non vuole limitarsi a costruire in serie queste macchine, ma vuole trovare un modo per dotarle di una coscienza pari a quella umana consentendo loro di pensare, apprendere e ragionare come un qualsiasi uomo. Dopo lunghi anni di ricerca, studio e numerosi fallimenti, riesce nella sua impresa e corre subito a presentarlo ai suoi superiori che, dopo aver esaminato il progetto, lo liquidano dicendo che quella tecnologia sarebbe risultata inutile se applicata su degli scout.
Dave, però, non accetta questo rifiuto e, completamente ossessionato dalla sua idea, decide di rubare lo scout 22, destinato al macero a causa dei danni subiti, e dà vita a Chappie, il primo robot ad avere una coscienza umana, che, essendo appena nato, deve essere educato come un qualsiasi bambino. Chappie però viene rubato da tre insoliti criminali che decidono di educarlo in vari modi: c’è chi gli farà credere che azioni illegali come rapine o furti siano in realtà cose comuni e addirittura positive, chi invece lo tratterà come un vero e proprio bambino dandogli l’affetto di una madre.
Chappie, oltre a dover essere educato in questo strano modo, sarà anche costretto a scontrarsi con il rivale del suo creatore, che svilupperà un nuovo modello di scout comandato dall’uomo con una potenza distruttiva maggiore.
Il film, pur se interessante, non è però privo di difetti: in alcuni casi potrebbe risultare prevedibile e alcuni personaggi, come il rivale di Dave, sono caratterizzati abbastanza superficialmente. Forse è per questo che da molti non è stato apprezzato.
Questi difetti possono essere superati se si guarda il film cercando di capire il punto di vista di Blomkamp. La storia di Chappie è solo un pretesto che il regista utilizza per parlare di qualcosa di più grande: ci mostra come non sono sempre i criminali a essere i veri cattivi e come in alcuni casi siano le grandi società o le persone che ne fanno parte ad essere più “criminali” dei veri criminali, invertendo così i ruoli. Ci mostra poi come un “bambino” sia condizionabile e come possa cambiare in base al tipo di educazione che riceve e che, anche se educato da persone che sembrerebbero non essere affidabili, possa sviluppare comunque qualcosa di buono.
All’interno del film il regista, tramite scene anche di breve durata, prova a mostrarci moltissime realtà della vita quotidiana delle zone sudafricane in cui è ambientato.
Un esempio può essere la scena in cui Chappie viene abbandonato e, trovandosi solo in un quartiere malfamato, viene discriminato per la sua ingenuità, per il suo particolare aspetto e per i suoi strani modi di fare, in quanto ancora un bambino, causandogli un pestaggio da parte di alcune delle gang del posto.
Sono proprio queste scene che, oltre a mostrarci la vita in alcuni quartieri malfamati, ci fanno crescere con Chappie, facendoci affezionare a quello che dall’esterno è solo un ammasso di metallo, ma che all’interno nasconde una coscienza pari, se non superiore, a quella di un essere umano.
Samuel Venturini