Essere uomo. Essere FRANCO BARESI
Essere Franco Baresi significa essere il Milan. Franco è uno di quei giocatori che ha legato il proprio nome solo e unicamente a una squadra. Di giocatori di questo tipo se ne trovano davvero pochi. Vent’anni passati con una sola maglia e solo due colori: quelli rossoneri.
La storia d’amore che lega Franco al Milan inizia con un provino nella squadra in cui militava all’epoca il fratello Giuseppe… l’Inter! L’Inter però gli disse di tornare con qualche centimetro in più. Fatto sta che Franco davanti ai cancelli di Appiano Gentile non ci metterà mai più piede. Il Milan lo prese all’interno di quella che da lì a poco sarebbe diventata la sua famiglia, e lui sarà l‘uomo simbolo di quel magico Milan che dominò e insegnò il gioco del calcio a tutto il mondo.
Ma non fu da subito così, perché sennò essere Franco non avrebbe il significato che ha oggi. Lui, prima di vincere tutto col proprio club da capitano e diventare uomo simbolo e idolo per i tifosi milanisti, ha faticato, ha lottato con i denti e non ha mai mollato mezzo centimetro, resistendo e rimanendo al Milan nonostante due retrocessioni nella serie cadetta, di cui una per calcio scommesse. Già, Franco ha visto l’orchestra di cui era il direttore rischiare di non esistere più… Ma il destino successivamente lo ripagò perché, con l’avvento di Berlusconi e del maestro Arrigo Sacchi sulla panchina del Diavolo, ottenne tutto ciò che un giocatore può sognare di alzare al cielo durante la propria carriera. E vinse quei trofei, meritandoli sul campo, essendo nel frattempo cosciente di essere al centro della più grande riforma di sempre del gioco del calcio, di essere al centro di un progetto ambizioso con un presidente giovane e disposto a investire, un allenatore innovativo e competente, e con campioni assoluti come compagni di squadra. Il così detto “Milan degli immortali”, una squadra che riscalda ancora oggi gli animi dei tifosi, non solo Rossoneri, ma di tutti gli amanti del calcio.
Anche chi come me non ha mai potuto vivere quei momenti, sa benissimo quanto valeva quel magico Milan, un Milan capace di battere il Real Madrid 5-0, e di vincere due coppe campioni consecutive, di cui una battendo in finale, a Barcellona, lo Steaua Bucarest con un sonoro 4-0 in uno stadio praticamente al 100% milanista, una finale in cui si verificò il più grande esodo di tifosi della storia, con ben 90 mila rossoneri accorsi per vedere una di quelle partite che finì di diritto tra le più belle di sempre. E al centro di tutto ciò Franco era la guida, o meglio il mentore. Il suo braccio alzato per segnalare il fuorigioco all’arbitro divenne un suo marchio distintivo, divenne un simbolo della sua bravura e della sua finezza e presenza mentale, il suo simbolo di capitano dell’A.C. Milan, una squadra formata da giocatori spettacolari. Eccoli, “gli immortali”: Galli, Maldini, Tassotti, Costacurta, Donadoni, Ancelotti, Colombo, Gullit, Rijkaard, Van Basten e, a capo di tutti loro, il Capitano con la c maiuscola, Franco Baresi.
Ma la vita di Franco è fatta di gioie e dolori, come la vita dei veri uomini. Franco, come capitano della nazionale Italiana ai mondiali U.S.A. 94’, si ritrovò come allenatore ancora Arrigo Sacchi (sostituito al Milan da Fabio Capello), e fu in quel momento, quando gli sarebbe mancato solo vincere il mondiale da protagonista per vincere la gloria eterna non solo dei Milanisti, ma anche di tutti gli italiani, che durante una partita dei gironi il suo menisco si ruppe. Secondo la maggior parte degli italiani era ormai destinato a non rientrare più in campo e a condannare quindi anche l’Italia alla fine del sogno Mondiale. Ma non fu così: la nazionale, ispirata da un altro grande campione, Roberto Baggio, andò avanti e Franco nel giro di tre giorni si riprese dall’intervento chirurgico e si riunì al gruppo. Con un recupero record tornò a giocare il giorno della finale di Coppa del Mondo contro un Brasile stellare, sudando e sputando sangue fino alla fine dei tempi supplementari con una prestazione da incorniciare: ancora dolorante al ginocchio, non fece passare miracolosamente nessuno, tirò fuori tutto se stesso per realizzare quello che era oramai più di un sogno.
Ma, come abbiamo detto, essere Franco Baresi significa essere gioie e dolori… Fu così che Franco, in condizioni pessime, da vero guerriero indomito si presentò dopo 120 minuti giocati a livelli altissimi sul dischetto bianco color gesso dei rigori. Il risultato fu un tiro spedito alto sopra alla traversa. Assieme a lui sbagliarono anche Daniele Massaro e il grande Roberto Baggio, condannando così l’Italia al secondo posto mondiale. Rimarrà per sempre, di quel caldo pomeriggio americano, l’immagine di un uomo che piange disperato stringendo a sé la maglia azzurra dopo aver giocato con un ginocchio dolorante e aver dato tutto se stesso per la gioia di un’intera nazione.
Ecco perché essere Franco Baresi significa essere, prima che giocatori, uomini, quelli tutti di un pezzo, uomini di un’epoca che ormai non c’è più e di un calcio fatto di valori e ideali che al giorno d’oggi sembrano scomparsi.
Se devo essere come qualcuno, spero di essere come lui, spero di essere come Franco Baresi.
Manuel Coletti