DELL’ITALIANO A SCUOLA. Gli studenti non sanno più comunicare?
Di recente, 600 docenti universitari hanno sostenuto, attraverso una lettera, che gli studenti non conoscono più l’italiano e ne attribuiscono la responsabilità alla scuola. Se la colpa è della scuola, come individuare cause e soluzioni dei mali? E se il discutere “battagliando” sulle cause e le possibili soluzioni del problema potesse contribuire, nel suo piccolo, ad affrontarlo?
Un mattino il nostro professore di Italiano ci ha presentato “Contro il declino dell’italiano a scuola – Lettera aperta di 600 docenti universitari“: una lettera scritta da 600 docenti di tutte le facoltà italiane che, valutata negativamente la padronanza della lingua italiana degli studenti universitari, incolpano di questa lacuna la didattica utilizzata nelle scuole di grado inferiore, a partire dalla scuola primaria.
Ammesso e non concesso che tutto ciò che viene segnalato nella lettera sia veritiero, ci siamo interrogati sulle motivazioni che hanno portato questi professori a giudicare tanto basso il livello di apprendimento degli allievi e a contestare così fortemente le istituzioni scolastiche italiane.
Da un confronto tra noi alunni, sono emerse quattro cause e quattro soluzioni possibili per far fronte a questa “emergenza”:
– problema economico: destinare più fondi alla scuola;
– problema di qualità/motivazione degli insegnanti: permettere agli studenti di valutare i propri docenti;
– problema didattico: introdurre metodologie didattiche innovative che mettano gli alunni al centro dell’apprendimento;
– problema organizzativo/orientativo: riformare i cicli scolastici, aumentando la durata del primo ciclo fino a 16 anni per consolidare le competenze di base e permettere l’orientamento in età più matura.
Avanzate queste proposte, la classe si è divisa in quattro gruppi e a ogni gruppo è stata affidata una tesi, che doveva essere elaborata, approfondita e analizzata nelle singole sfaccettature in modo da esaltarne gli aspetti positivi.
Abbiamo quindi deciso di sfidarci in un dibattito a eliminazione diretta: una squadra contro l’altra; le vincitrici della prima manche a sfidarsi poi per aggiudicarsi il primo posto, mentre le perdenti in una lotta all’ultimo sangue per il terzo e quarto posto. L’obiettivo di questo “gioco” era, utilizzando i mezzi linguistici e comunicativi dell’intero gruppo, vincere convincendo il resto della classe, trasformata in giudice imparziale. Uno scontro spregiudicato e senza esclusione di colpi, in cui l’unica cosa che contava era mostrare una piena padronanza dei propri argomenti.
Dopo un primo turno estremamente acceso e vivace, lo scontro finale vedeva contrapposti i gruppi che sostenevano l’introduzione delle didattiche innovative nell’insegnamento vs valutazione dei docenti da parte degli alunni. Il confronto è stato intenso, agguerrito ed equilibrato al punto che alla fine si è giunti a una sorta di parità.
Terminato il dibattito ci siamo messi però a ragionare tutti insieme sul nostro operato e abbiamo visto che affrontando temi attuali e a noi vicini ci siamo divertiti mettendoci in gioco, abbiamo imparato a lavorare autonomamente in gruppo, ad argomentare e a tirare fuori una parte di noi che solitamente non si trova tra i banchi dell’ordinaria scuola. Siamo stati al centro di una lezione e, anche quando lo scontro è stato molto acceso, siamo riusciti (con grande successo) ad argomentare e far fronte alle difficoltà di esprimerci e di controbattere alle tesi dei nostri interlocutori, come può accadere nella vita reale. Una sorta di didattica attiva che vede noi studenti come il fulcro delle lezioni e non soggetti destinati ad assorbire per osmosi passiva ogni singolo concetto. Abbiamo vissuto un’esperienza che ci ha portati a ragionare e a farci entrare nel vivo dell’argomento.
Perché la Fisica, la Matematica, l’Italiano, ecc… sono materie importantissime, ma se una volta acquisiti i concetti fondamentali non si è capaci di argomentare e discuterne… beh, lo studio compiuto fino a quel punto è come vanificato.
Andrea Cerati