CREDERE, VEDERE, ANDARE OLTRE. Una “risposta imprevista” alla domanda su Dio
La classe 5G, accompagnata da Don Davide Marzo, si interroga su Dio a partire dalle riflessioni di un precedente articolo di Click! Dalla discussione nasce un testo stimolante e ricco di profondità, un invito aperto a chiunque abbia il coraggio di porsi ancora, nonostante tutto, delle domande. Le stesse che ci pongono le porte chiuse-aperte-sfondate di René Magritte, che Don Davide ci invita ad attraversare per cercare la sorgente di ogni domanda.
Il nostro prof di religione Don Davide Marzo ha proposto alla classe la lettura dell’articolo di Click! La Tregua di Primo Levi e la domanda su Dio e abbiamo cominciato un lavoro di discussione e di confronto che ha coinvolto a più riprese diversi di noi.
Siamo abbastanza d’accordo che la questione dell’esistenza di Dio non si possa affrontare con troppa superficialità. Certo, non si può verificare con una dimostrazione, perché si basa sulla fede delle persone e questa non è tangibile (Irene Vimercati). Anche una catastrofe molto grande non può determinare la presenza o l’assenza di Dio (Alessandra Lisi).
La fede, però, non è un’opinione, ma è qualcosa che va oltre. All’inizio ti può anche venire imposta, ma quando cresci sei tu che scegli (Gabriele Dimitri Di Caro). Per certe persone credere è avere una certezza a cui ancorarsi, qualcosa che ti faccia stare bene, mentre altri restano indifferenti. «Personalmente quando succedono delle tragedie resto perplessa di chi dice: Dio dov’è? e perché lo ha permesso? Penso che dietro a queste frasi ci sia un fondo di rabbia e si voglia a tutti i costi dare la colpa a qualcuno» (Irene Abis).
Perché, poi, apprezzare Dio quando le cose vanno bene e incolparlo per quelle che non funzionano? (Alessio Capuana). Dio c’è sempre nel bene e nel male; purtroppo non sembra proprio influenzare la vita delle persone (Giorgia Cappello e Anna Cascella). E forse è anche un po’ per la nostra libertà – o come dice qualcuno – per il libero arbitrio, che Dio non possa superare i nostri ostacoli, ma di certo, lui che ci osserva da sempre, alla fine ci giudicherà (Gabriele Dimitri Di Caro).
«In fondo, l’uomo ha bisogno di credere?». Ognuno di noi ha bisogno di credere in qualcosa che si trova al di sopra, anche per interpretare gli avvenimenti che a livello scientifico non abbiamo ancora spiegato (Alessandro Villa). Ma è anche vera l’idea condivisa da tanti: «Non mi sono mai soffermato più di tanto per capire se Dio esista o no; vado avanti nella mia vita senza pormi la domanda. La vita potrebbe aiutarmi a pormi delle domande» (Michael Di Martino).
Dire che Dio esiste è segno di fede, ma rimane lo scandalo del male (Matteo Poeti). È chiaro che il dolore innocente, e fatti come quelli raccontati in prima persona da Primo Levi ci rendono senza parole. Ma «come avrebbe potuto Dio fermare l’Olocausto, lasciando il libero arbitrio all’uomo?» (Aurora Roncalli). «La volontà di Dio non dipende dalla volontà degli uomini. La mancanza d’amore verso Dio ha provocato fatti come la Shoah» (Sara Pagano).
Questa è la nostra risposta o, almeno, ci abbiamo provato…
CLASSE 5G
Seguono le parole che Don Davide Marzo ha regalato a Click! a partire dal quadro ATTO DI FEDE di René Magritte.
Credere, andare, vedere oltre
Nel 1960 l’artista francese Magritte dipingeva un quadro che intitolò L’acte de foi. Circa trent’anni prima aveva dipinto un altro quadro in cui compare il medesimo motivo della porta a lui caro, che intitolò La réponse imprévue. In esso è raffigurata una porta chiusa contornata da una parete color rosso mattone. La porta è ben chiusa e tuttavia uno squarcio la rende vuota al suo interno. È infatti sfondata e si può cogliere come oltre quel limite ci sia un altro spazio. Il pavimento della stanza infatti continua oltre la soglia. Ma lo spazio al di là è solo parzialmente visibile perché un’ombra buia impedisce di scorgere cosa vi sia oltre. La porta chiusa nella pittura di Magritte intende esprimere una dimensione della realtà entro la quale si realizza la nostra percezione che è bloccata. La maniglia sigilla questa chiusura.
Tuttavia questa porta non impedisce di guardare al di là, perché uno squarcio la sfonda e le linee della rottura disegnano una sorta di umano ritagliato senza precisione. L’apertura è così invito ad oltrepassare la porta stessa con lo sguardo, ad andare al di là, a scorgere dimensioni più lontane, oltre le chiusure e i muri.
Se La Reponse imprévue fa intravedere uno spazio nero, insondabile, oltre la porta, il dipinto del 1960, L’acte de foi rappresenta un diverso orizzonte. Ancora compare il motivo del muro e della porta. Qui la porta è di un interno di casa signorile, laccata di bianco, ancora è contornata da un muro rosa. Ma la porta è sfondata questa volta non su uno spazio d’ombra, ma su un balconcino delimitato da una ringhiera che si affaccia su un cielo notturno. Oltre il balcone un cielo e un mare – forse? – indistinto dal cielo, e sullo fondo il profilo di un esile spicchio di luna. Un cielo notturno sta al di là della porta chiusa. È possibile osservarlo solamente attraverso lo squarcio della porta sfondata, andando oltre la sagoma disegnata. Oltre la porta c’è ancora un’oscurità, ma in questo dipinto è oscurità notturna, illuminata.
La pittura di Magritte non è pittura di definizioni o di risposte; è piuttosto arte che richiama al valore delle immagini che non sono al servizio delle parole ma rivendicano la loro autonomia: un linguaggio diverso dalle parole, evocativo di percorsi unici. Le immagini non fungono a rappresentazione di pensiero ma sono pensiero esse stesse, tentativo di andare oltre le illusioni, allegoria che dà a pensare. Nella porta sfondata è racchiuso un invito ad andare oltre, a volgere lo sguardo ad una realtà che ha dimensioni più profonde di quella che trattiene il nostro quotidiano. Oltre ad essa c’è una oscurità da affrontare, ma anche la prospettiva di una luce verso cui andare. E’ invito a partire, a solcare la soglia per entrare in orizzonti che sembravano chiusi e che invece sono aperti oltre il reale a portata di mano. E’ anche invito a vivere la fede come oltrepassamento per non lasciarsi rinchiudere entro un mondo dove tutto sembra sia chiaro e spiegato entro confini determinati.
L’Acte de foi può essere una immagine che fa scorgere la dimensione della fede come viaggio, come un andare oltre. E d’altra parte indica come la fede stessa sia immersione in un ‘oltre’ fatto di oscurità, ma anche di spazi sconfinati solcati da luce, pur nella notte, per entrare in una realtà più autentica di quella che appare a portata di mano e che delimita e racchiude. Richiesta di superamento di barriere. La porta sfondata evoca un passaggio di sfondamento per liberarsi dall’illusione, per scorgere la molteplicità che sta dentro al reale, per non lasciarci rinchiudere nel dominio di parole ma lasciarsi guidare dalla luce.
Don Davide Marzo