ANCHE NOI SIAMO PRESENTI
In occasione della Giornata Mondiale dei Disturbi Alimentari (World Eating Disorders Action Day) pubblichiamo un racconto che descrive con coraggio la lotta che combatte chi deve affrontare ogni giorno problematiche alimentari. Per farsi forza. Per poter dire: “Anche noi siamo presenti!“
“Io mi piaccio”. Detto altrimenti: possiedo una certa stima nei miei confronti, mi trovo particolarmente attraente. Con “Io mi piaccio” si intende questo.
Ma cos’è la bellezza? È una strana parola se ci si pensa. Non per nulla è una caratteristica soggettiva. Ci si può sentire delle persone esteticamente intriganti, ma possiamo davvero essere sicuri di esserlo per gli altri?
Eccola qui: l’insicurezza. E no, questo non è soggettivo. Arriverà quel giorno in cui ci si osserverà con attenzione allo specchio e si troveranno tutti i “difetti” che le altre persone possono aver individuato ben prima di noi. Probabilmente si può anche non possedere caratteristiche estetiche negative, eppure si riesce sempre a trovare qualcosa in sé che non funziona come si vorrebbe.
Ci si continua a guardare giorno dopo giorno: un foruncolo. Inammissibile, bisogna nasconderlo agli altri! Le occhiaie infossate sotto agli occhi… Che penseranno gli altri? Mica si può passare per quelli che non dormono e passano le ore della notte a messaggiare sui Social o giocare alla Play! I capelli fuori posto. Che schifo! Vanno tagliati.
Poi i difetti si trasformano in problemi inesistenti: si ingrassa. È il momento di mettersi a dieta. Mica ci si può presentare come delle balene spiaggiate. Poi ci si lamenta se le altre persone non ci considerano belli.
E parte tutto da qui. Si comincia il primo giorno a trovare diete speciali che possano funzionare. Si conteggiano calorie ogni giorno su fogli di carta e, lí per lí, la cosa non sembra causare problemi. Si continuano a trascorrere le giornate, le settimane, i mesi, scrivendo dei numeri che magari agli altri potranno sembrare insignificanti, ma per noi stanno diventando significativi. Però quanto significativi?
Troviamo quei tipi di persone che riescono a non farsi coinvolgere in maniera estrema da quei calcoli. Raggiungono l’obiettivo da loro scelto e riescono a moderare la loro quantità di cibo senza doverla segnare da nessuna parte, senza il bisogno di appuntarla su un blocco note…
Ma bisogna rendersi conto che ci siamo anche noi. Noi che, procedendo a trascrivere tutte quelle cifre, ci facciamo coinvolgere da loro. Dai numeri. Sono semplici numeri no? Non è così per noi. Diventa quasi una gara. “Sono capace di non superare il millecinquecento?”. Il nostro autocontrollo dice: “No”. Di conseguenza i numeri non si abbassano. Rimangono lí tra il millecinquecento e il milleseicento. “Devo cambiare metodo”, ci imponiamo. Il “massimo” diventa “troppo” e il contrario, quindi il “minimo” si trasforma in “massimo”. Si riesce così ad abbassare la quantità di calorie. Il problema è il seguente: per quanto tempo?
Il grafico sale di nuovo. Oplà, ci si trova a millecinquecento calorie un’altra volta. Però è giusto, è l’esatta quantità. Ma noi diciamo ancora una volta “No”. Quello ormai è il nostro “troppo”. Ci ritroviamo in preda al panico, ai sensi di colpa, a tutti i problemi psichici inimmaginabili. Per cosa? Per il “giusto” che è mutato in “troppo”.
Le calorie, ormai nostre rivali, si smaltiscono facendo movimento, è risaputo da tutti. Ci proviamo, ed eccoci lí a correre per casa o da qualche parte, dipende dalle preferenze. Wow! Improvvisamente sappiamo anche fare gli addominali senza problemi, ci sentiamo così carichi nello smaltire le nostre nemiche che siamo atleti in tutte le attività! Anche saltare con la corda tutto d’un tratto non è più faticoso. Incredibile!
Eppure abbiamo ancora il “No” che pende dalle nostre labbra. Non cambia. Perché? Stiamo facendo l’inimmaginabile! Ecco quindi che ritorna trionfante il nostro primo nemico: l’autocontrollo nel consumare cibo. Così, in testa sorgono strani pensieri. Dato che non siamo capaci di vincere sul nostro VOLER mangiare, dobbiamo cambiare metodo.
Se smaltire non basta, la soluzione potrà essere espellere? Potrà sembrarvi un’idea geniale, ma come si può mettere in pratica la tattica? Vi presentiamo nostro malgrado il rigetto.
Scandalo. Come darvi torto? Anche noi stessi siamo consapevoli che è sbagliato. Cominciamo in questo modo, dicendo: “Ma sì, dai, che sarà mai, basta farlo poche volte, giusto il momento in cui ho superato il mio budget”. Questa frase ce la ripetiamo pure nella mente, quando stiamo compiendo quell’atto poco sano. Da una volta a settimana diventano due le volte, poi aumentano a tre, quattro, fino a raggiungere tutti i giorni.
Noi però non ce ne rendiamo conto, è ancora poco. Per di più, se abbiamo qualche amico nella nostra stessa situazione lo riusciamo a capire, però non vogliamo che faccia quello che stiamo facendo noi a nostra volta, e questo per il suo bene.
Non riusciamo a pensare che gli altri possono preoccuparsi della nostra salute e delle nostre condizioni. Il corpo in ogni caso è nostro, no? Quindi decidiamo noi cosa farci, se bruciarlo con i succhi gastrici o smettere di tormentarlo. Ma noi decidiamo di incendiarci ancora. Mentre il tempo vola e noi procediamo a scrivere quei dannati numeri e a trascorrere i periodi bui della giornata nel bagno, ci guardiamo allo specchio. Magari ci può sembrare che non siamo ancora cambiati, ma ci fissiamo per un lungo periodo e infine ci autoconvinciamo di star cambiando. E tutti contenti ci dirigiamo dai nostri genitori, o da uno dei due in particolare, e gli mostriamo la nostra gioia: “Mamma, sto dimagrendo?”. A nostro parere quella domanda è retorica, e per una volta ci aspettiamo un “Sì”. Lei ci osserva, consapevole della nostra dieta, consapevole dei nostri sgarri, ma del tutto ignara riguardo al nostro segreto (o forse più a conoscenza di noi…). “No, per me sei sempre uguale”.
Crollo emotivo. Dentro di noi si scatenano tempeste e diluvi implacabili. Eppure a noi sembra che stia accadendo qualcosa rispetto a prima. Lo specchio ci indica cose banali che magari a noi interessano più del dovuto. Oltre a guardare la vita, l’addome o le gambe, notiamo le piccole cose: magari il viso più ombreggiato, oppure le braccia che cominciano a diminuire di volume e molti altri dettagli che a noi paiono grossi passi avanti o indietro. Quindi ci ritroviamo in questa situazione di confusione: “Devo continuare o no?”. Il dubbio rimane lí.
Stiamo sbagliando o è tutto normale? Ci vuole tempo? Sappiamo che non è giusto, che non va bene come cosa, però è più forte di noi, ed è diventata una routine quotidiana. È come se continuassimo a martellarci il dito. Fa male, tanto male, siamo consapevoli che proviamo dolore, ma noi continuiamo a colpire il dito. Si chiama “masochismo” da un certo punto di vista. Eppure non smettiamo.
Ci assalgono altri sensi di colpa che non riguardano però il nostro aspetto: se sappiamo che non dobbiamo mangiare troppo, perché lo facciamo per poi buttare tutto via? È uno spreco. I nostri genitori hanno pagato per offrirci quel cibo che noi vogliamo, ma non possiamo permetterci di assimilare. Ci costringiamo così a imporre delle pause al nostro procedimento.
Dobbiamo resistere a due manie che ci risultano dure da superare: mangiare e rimettere. Può darsi che ricapiti, è vero, ma questa diventa la gara di resistenza più faticosa da affrontare finora in tutta la nostra vita, giusto per non rendere vano quello che i nostri genitori spendono. D’altra parte i soldi non crescono sugli alberi, non è così? Inoltre siamo sicuri che le persone che ci considerano cari non vorrebbero mai che noi compissimo questa azione insensata. E poi abbiamo bisogno di fare questo ragionamento: non c’è soddisfazione a rimettere quello che mangiamo, noi sappiamo che lo stiamo facendo perché abbiamo fallito, perché non abbiamo saputo tenere a bada la nostra gola, un peccato.
Invece saremmo molto più fieri di noi stessi se provassimo a mantenere l’autocontrollo a tavola, perché sarebbe la rappresentazione della vittoria sul peccato della gola. Facciamoci forza. Soprattutto in questo periodo. Sosteniamoci a vicenda.
Anche noi siamo presenti.
G. E.