Alcuni sono più eguali degli altri? LA FATTORIA DEGLI ANIMALI, di George Orwell
“Tutti gli animali sono eguali, ma alcuni sono più eguali degli altri”: che valga anche per l’uomo? Dopo un’analisi e un’intervista impossibile a un suo protagonista, torniamo a ragionare sul romanzo di Orwell per sviluppare nuove riflessioni sul suo messaggio universale.
Al primo impatto, il capolavoro di Orwell ”La fattoria degli animali” si presenta come una favola per bambini, ma in realtà rappresenta tutt’altro: esso infatti è una vera e propria allegoria della rivoluzione bolscevica e della sua evoluzione, narrando con eventi e animali in una fattoria in Inghilterra ciò che accadde a grandi linee nell’Unione Sovietica dallo scoppio della rivoluzione nel 1917 al 1943, annoprecedente la stesura del romanzo.
Orwell, lui stesso filocomunista e attivista di un movimento rivoluzionario in Spagna, decise espressamente di denunciare il regime stalinista ormai evolutosi in senso contrario alle promesse di uguaglianza e libertà propagandate dalla dottrina comunista. Per far ciò rappresentò la situazione sovietica all’interno di una fattoria nella quale gli animali (allegoria del proletariato) da sempre sfruttati dal loro padrone (la borghesia) decidono una notte di riunirsi per ascoltare le parole del vecchio maggiore, l’animale più anziano del podere, che li illumina con un discorso rivoluzionario e il desiderio di una fattoria nella quale gli animali non debbano più subire le ingiustizie dell’uomo e possano essere loro stessi sovrani della propria esistenza. Questo suo pensiero si racchiude nel canto “Animali d’Inghilterra” alla base della sua utopia: nella figura del vecchio maggiore è possibile identificare Karl Marx, il padre fondatore della dottrina, morto prima di veder attuata la rivoluzione.
Quello che avviene nei capitoli successivi al primo è la vera e propria insurrezione degli animali contro il loro oppressore, che scoppia per cause secondarie, come del resto anche nella storia reale il malessere generato dalla grande guerra aveva portato agli avvenimenti del caldo autunno del ’17.
In linea con la rivoluzione “rossa” ma anche con le altre grandi rivoluzioni della storia (quella americana e quella francese), anche la rivoluzione degli animali pone al suo inizio premesse di uguaglianza e di giustizia, che poi con il passare del tempo vanno a privilegiare le classi dirigenti che, annegate nella cupidigia e nell’egoismo, impongono alla società una dittatura senza libertà di espressione e di confronto. È quello che avviene in Russia, dove Stalin, una volta ottenuto il potere, in principio allontana Trotzkij, suo grande contendente e generale dell’Armata rossa, poi lentamente elimina ogni individuo che possa minare alla sua supremazia, fino a mettere in atto una politica di oppressione che porterà alla morte e alla deportazione nei campi di lavoro (Gulag) milioni di persone accusate spesso ingiustamente di essere controrivoluzionarie, quindi contro il regime.
Gli avvenimenti storici sopra citati fanno da filo conduttore alla vicenda: nel romanzo Stalin e Trotzkij sono personificati da due maiali, Napoleon e Palladineve, i quali avevano appunto preso le redini della fattoria. Quando, cacciato Palladineve, il potere passa nelle sole mani di Napoleon, questi, con i suoi fedeli segugi (la polizia di stato), impone con la forza la sua supremazia addossando tutte le colpe dei suoi fallimenti a Palladineve, vero e proprio capro espiatorio del suo regime.
È emblematica la chiusura del romanzo, che termina disegnando la classe dirigente dei maiali che ormai cammina a due zampe, beve e gioca a carte, quindi in tutto e per tutto simile all’uomo oppressore degli animali.
D’altronde Orwell nel suo libro voleva denunciare proprio questa trasformazione dell’Unione Sovietica da un potere oppressivo (zarismo) a un altro (stalinismo), nel quale la libertà di pensiero e di propaganda erano soffocate da un regime che, nato nel tentativo di realizzare un’ideale di eguaglianza tra gli uomini, ha portato all’opposto di essa.
Elia Romagnoli