«DOBBIAMO ESSERE IN GRADO DI CAMBIARE LA NOSTRA VISIONE» Incontro con padre Alejandro Solalinde, difensore dei migrantes
Click! ha avuto il privilegio di assistere e filmare l’intervista di Daniele Biella al missionario messicano padre Solalinde, candidato al Nobel per la Pace per la sua coraggiosa opera di supporto ai migranti in Messico. Il tour italiano del missionario è stato organizzato da Amnesty International.
Domenica 7 maggio, con il giornalista Daniele Biella abbiamo incontrato padre Alejandro Solalinde, missionario messicano che si occupa di assistenza ai profughi sudamericani che cercano di passare il confine Messicano per andare negli USA. L’opera di padre Solalinde è iniziata nel 2007, quando cominciò a interessarsi alla questione dei migranti e aprì la prima casa-rifugio “Hermanos en el camino”, di Ciudad Ixtepec. Questo fu solo l’inizio: ad oggi sono più di 30 i rifugi aperti. Per il contributo umanitario portato avanti in tutti questi anni da padre Solalinde, Amnesty International ha deciso di candidarlo al Premio Nobel per la Pace 2017.
La gioia nell’aiutare il prossimo è grande, ma è presente un’altra faccia della medaglia. Infatti, il sacerdote è stato più volte minacciato di morte da parte dei narcos e delle organizzazioni criminali della zona. La cosa più sorprendente è però scoprire che per lui il pericolo più grande è rappresentato dalla popolazione limitrofa e dalle autorità, violentemente ostili al suo operato.
Dall’intervista sono emersi una serie di episodi sconcertanti. Pare infatti che padre Solalinde sia stato minacciato di essere bruciato vivo da parte della popolazione che lo accusava di proteggere dei criminali. Il fatto è da aggiungere a una successiva persecuzione delle forze dell’ordine per convincerlo a chiudere il rifugio. Questi sono gli episodi peggiori che il sacerdote ha dovuto subire all’interno della sua campagna per cercare di aiutare i migliaia di migranti che ogni giorno decidono di partire dagli stati più svantaggiati dell’America Latina per raggiungere gli Stati Uniti.
«L’inferno è già qui, sulla terra. È l’egoismo elevato al massimo che diventa odio. La misoginia, la xenofobia, la cecità del volere prendere più soldi possibili dai propri simili anche con mezzi illeciti: questo è l’inferno». Queste le dure parole del sacerdote per definire l’inferno e il mondo di oggi, uniti dall’odio e dall’egoismo.
Anche se la situazione negli ultimi tempi è leggermente migliorata grazie a nuove leggi per regolamentare il flusso migratorio, c’è bisogno ancora di molto lavoro per arrivare alla completa integrazione ed estromissione delle organizzazioni criminali dal business dei migranti. L’emergenza umanitaria presente nelle zone di confine è infatti ancora molto grave e Amnesty International denuncia ancora una scarsa capacità di reazione da parte delle autorità locali, nonostante gli sforzi del governo messicano per riuscire a contenere la situazione. Ogni giorno migliaia di persone fuggono dalla povertà e dalla violenza presente nei paesi dell’America Latina, ogni giorno gli stati del Nord America respingono orde di persone venute a cercare salvezza presso paesi benestanti.
L’incontro con padre Solalinde ci permettere di riflettere anche sulla nostra attualità. I flussi migratori che partono dal medio Oriente e arrivano fino ai paesi europei, Italia compresa, creano nuove opportunità di sfruttamento da parte delle organizzazioni criminali e permettono la nascita di gruppi razzisti e xenofobi che diffondono la paura e l’odio tra la gente. La cosa che dobbiamo capire è che i migranti sono persone come noi, esseri umani, e vanno trattati come tali. Dobbiamo ricordarci, infatti, che non molto tempo fa anche noi italiani siamo stati migranti durante il periodo della crisi, e il fenomeno non si è ancora fermato.
Ma soprattutto, come padre Solalinde in nostra presenza ha detto a Daniele Biella, «dobbiamo essere in grado di cambiare la nostra visione, allungandola. Quella che abbiamo ora è parziale, molto corta: bisogna ampliare l’orizzonte, capire che la Storia dell’umanità è lunga, ognuno di noi è un puntino che però non deve rimanere inerte. Anzi, si deve azzardare a mettere un nuovo paio di occhiali: una lente è quella che mi fa capire come l’avanzamento tecnologico non basti per evolversi, dato che stiamo compiendo azioni barbare peggio ancora di quanto faceva l’uomo delle caverne. Dobbiamo chiederci dove vogliamo arrivare, fermare queste barbarie. Con l’altra lente, dobbiamo essere in grado di vedere con gli occhi di Gesù. Non sto parlando da credente, perché so che potrei risultare un predicatore come tanti, sto parlando da uomo. Gesù da giovane fece cose incredibili nel suo tempo, in quel primo secolo dopo Cristo in Palestina in cui c’era una religione fondamentalista, escludente. Lui è stato semplicemente sé stesso, è andato contro le convenzioni, rompendo schemi. Questa è la prospettiva per andare avanti, credenti come atei. Usiamo la nostra saggezza per rispettare i simili e il mondo in cui viviamo senza approfittarne e usando il denaro come un mezzo, non un fine. La convivenza, pur nelle diversità, è migliore se basata sulla completa tutela dei diritti umani».
Michel Benedetti