IL RAGAZZO E L’AIRONE: oltre la superficie di un capolavoro contemplativo
“Il ragazzo e l’airone”, recentemente insignito del premio Oscar come miglior film di animazione, è l’ultimo lungometraggio animato dello studio Ghibli che ha spinto Hayao Miyazaki a tornare al lavoro rinunciando alla meritata pensione.
Per chi non conoscesse Hayao Miyazaki vi basti sapere che è un regista, sceneggiatore, animatore e produttore cinematografico giapponese. Con una carriera che dura ormai da cinquant’anni, Miyazaki è col tempo divenuto l’esponente dell’animazione giapponese più conosciuto all’estero.
“Il ragazzo e l’airone” si ambienta verso la fine della Seconda Guerra Mondiale, in una campagna non meglio precisata del Giappone. Il lungometraggio ci porta a conoscere Mahito, un ragazzino di 12 anni che, dopo aver perso la madre in un incendio, si trasferisce in una casa di campagna appartenente alla nuova moglie di suo padre. Mahito, tormentato dai ricordi di un passato traumatico, purtroppo fatica ad ambientarsi e a stare bene con se stesso, in una nuova casa e con l’affetto di una nuova famiglia con cui però sente di non avere nessun tipo di legame.
Di tanto in tanto la sua attenzione viene richiamata dagli insoliti atteggiamenti di un airone cenerino, che trascorre la maggior parte del tempo in un laghetto poco distante dalla casa; l’enigmatico volatile inizia a tormentare Mahito, che seguendolo, verrà coinvolto in una grande avventura che lo porterà a scovare segreti di un antico passato.
Il film è un abbraccio alle tradizioni, per via delle tecniche di animazione utilizzate, e un grande gesto d’amore verso le opere passate di Miyazaki, capace di incantare sia i fan di vecchia data, sia chi si approccia a una delle sue opere per la prima volta. “Il ragazzo e l’airone” è un film che sa emozionare lasciando spazio alla libera interpretazione e fornendo al contempo indizi utili a svelare il significato celato dietro ad alcuni simbolismi, come l’airone che molto probabilmente incarna in sé colui che per Miyazaki era visto come un rivale, e un amico, ovvero Isao Takahata.
Il titolo del film è uguale ovunque tranne che in giappone, infatti l’originale è: “How Do You Live?”, tradotto “e voi come vivrete”. La mia più grande critica riguarda questo particolare, l’aver cambiato il titolo. Il titolo originale racchiude in sé una profondità e una filosofia che il titolo italiano, “Il ragazzo e l’airone”, non riesce a catturare appieno. “How Do You Live?” pone una domanda esistenziale che invita il pubblico a riflettere sul significato della vita e sulle scelte che ne determinano il corso. Questa domanda aperta lascia un’impronta indelebile nella mente dello spettatore, stimolando la riflessione anche dopo la visione del film, e ne parlo per esperienza personale . In contrasto, “Il ragazzo e l’airone” risulta essere un titolo più descrittivo, ma meno evocativo e coinvolgente. Avrei preferito che il titolo originale fosse stato mantenuto, poiché avrebbe contribuito a trasmettere la profondità e la complessità delle tematiche affrontate nel film.
In definitiva, “Il ragazzo e l’airone” è un film che parla della crescita, dell’accettazione di noi stessi, del nostro passato e di una vita adulta alle porte che noi prima di tutto dobbiamo cercare di abbracciare o di adattare alle nostre esigenze; un film che parla del lutto, dell’elaborazione della scomparsa di qualcuno a noi caro come un familiare (Miyazaki stesso perse la madre prematuramente), o di un amico, come era appunto Takahata, la cui scomparsa segnò un lutto che fece crollare Miyazaki più e più volte, come egli stesso ricorda in parecchie interviste. Inoltre, questo film rappresenta l’elaborazione di una vita che sta cambiando a causa della guerra, in cui tutto ciò che c’era prima è stato cancellato: una metafora per far capire che la guerra cambia la vita di chiunque, dal singolo alla massa. In questa opera Miyazaki, attraverso i suoi personaggi, arriva a delineare un mondo fantastico dove inscenare la sua creatività che, come una fiamma, vacilla e sta per spegnersi; la creatività di un’artista in cerca di un erede che forse non c’è e non ci sarà mai. Da tutto questo si evince che Miyazaki ha voluto mettere tutto se stesso in questo film, manifestando le sue preoccupazioni senza però dirigere una storia priva di significato, riuscendo a esprimere anzi alcuni concetti e a tenerne nascosti altri, a innovare pur rimanendo fedele alle tradizioni.
Questo è un film che non vuole essere capito da tutti e non è un film che ha bisogno di essere capito da tutti; lo si può godere tranquillamente vedendolo come un’avventura, un viaggio onirico attraverso mondi che Miyazaki ama delineare e che anche stavolta riesce a disegnare perfettamente. Si potrebbe dire che ancora una volta Miyazaki riesce a portare sul grande schermo un’opera contemplativa quasi perfetta, forse fatta più per se stesso che per il pubblico, riuscendo comunque a intrattenere e a fare appassionare come ha sempre fatto, lasciando poche risposte e una sola e immensa domanda: e voi come vivrete?
Francesco Morandi