LONELY dei Palaye Royale: il riscatto attraverso la musica
Un’opera può essere qualunque cosa, l’importante è che abbia a che fare con l’arte, che sappia creare qualcosa di mai visto, sentito, assaggiato… Per opera intendiamo qualsiasi cosa possiamo “sentire” attraverso i nostri sensi facendo risvegliare in ognuno di noi dei sentimenti o delle emozioni.
Capita a volte di cercare disegni, sculture o canzoni per estrapolare tecniche o stili che possano influenzare il nostro stile personale. Quest’estate, cercando nuova musica, mi sono ricordata di aver sentito nominare poco tempo prima, in un post di Instagram, i Palaye Royale: un gruppo americano di origini canadesi formato da tre fratelli. Incuriosita, ho letto informazioni su di loro e ho ascoltato la loro musica. La prima canzone che ho sentito è stata Lonely, la quinta canzone dell’album “The Bastards”. Uscito nel 2020, l’album unisce aspetti della vita privata dei membri della band (soprattutto del cantante) e aspetti più sociali.
Lonely, in particolare, parla della situazione vissuta dal cantante del gruppo, Remington Leith, e di come si sentiva quando il padre ha abbandonato lui, i suoi fratelli e la madre. Le sonorità fanno apparire la canzone come una marcia e creano un triste ritmo di sottofondo unito a degli archi che rendono il tutto ancora più malinconico, esprimendo perfettamente il dolore provato dal cantante che prima canta con toni abbastanza bassi, fino a quando alla fine decide di urlare tutta la sua sofferenza.
Anche il video della canzone è significativo perché, attraverso le immagini e i giochi fatti dalla telecamera, che gira su se stessa, riesce a rappresentare i passaggi temporali, i sentimenti e lo stato confusionale provato. Tra gli elementi che più colpiscono ci sono l’idea di seppellirsi in un campo sportivo, come se si volesse far vedere a tutti ciò che stava succedendo, e i numeri di emergenza da chiamare, che il gruppo ha fatto scrivere alla fine del video perché, purtroppo, solo chi ha vissuto la situazione in prima persona sa cosa vuol dire essere abbandonato o abusato psicologicamente e fisicamente.
Ogni anno negli USA, come in tutto il mondo, purtroppo ci sono molti abbandoni da parte di un solo genitore e molti divorzi. Come raccontato nella canzone, ogni realtà familiare vive questo brutto momento a suo modo, chi meglio e chi peggio. Per fare un esempio, i divorzi avvenuti negli Stati Uniti (fra l’altro esclusi una serie di Stati come California, Georgia, Hawaii, Indiana, Louisiana e Minnesota), negli anni 2006, 2007 e 2008, corrispondenti al periodo in cui sono accaduti i fatti descritti nel brano, sono rispettivamente 872.000, 856.000 e 844.000: un numero considerevole che potrebbe aver portato difficoltà e disagi a più famiglie, ma soprattutto a migliaia di bambini e adolescenti.
Per fortuna qualcosa di positivo in questa triste storia c’è, perché oggi i tre fratelli sono un gruppo con oltre un milione di ascoltatori mensili su Spotify e hanno già fatto dei tour di grande successo riscattandosi dopo la difficile situazione, mostrando che la musica, come ogni forma d’arte, viene vissuta soggettivamente e aiuta a uscire dai momenti peggiori ricordandoci chi siamo veramente, liberandoci la mente, facendoci rilassare e sfogare.
La passione per ciò che si ama è come un ariete che distrugge i limiti imposti da quella vita quotidiana che a volte ci può stare un po’ stretta o può addirittura rischiare di farci soffocare; ci permette di trasportare i nostri dolori in un lavoro o in un’opera che, colma di ciò che proviamo, trasmette le nostre stesse sensazioni a chi la fruisce, dimostrando che, senza una passione, non si è totalmente liberi. L’arte unita all’appoggio delle persone che ci sostengono e che ci vogliono bene è una delle armi più potenti per risalire dal buio e ritrovare la luce.
Aurora Gigli