Interviste impossibili alle vittime della mafia
Nell’ambito delle attività di Educazione Civica, la 1D si è occupata quest’anno della Mafia e dell’Antimafia.
L’interesse per l’argomento, ma soprattutto la sensibilità mostrata nei confronti delle vittime della Mafia ha fatto nascere l’idea di far realizzare delle interviste impossibili alle vittime della Mafia.
I ragazzi, però, erano interessati non solo alle vittime coinvolte personalmente, ma anche alle vittime “collaterali”, potremmo dire. Così hanno chiesto di poter scegliere liberamente a chi fare la loro intervista impossibile. Di fronte a tanto entusiasmo ogni richiesta è da accogliere e l’ho fatto anche con curiosità. Volevo proprio vedere cosa sarebbero riusciti a fare e l’ho visto!
I personaggi intervistati sono parenti di vittime illustri, come la moglie di Paolo Borsellino, Agnese Piraino Leto, che non ha mai smesso di lottare contro la mafia, ma anche persone comuni, che hanno avuto l’onore di conoscere qualche vittima illustre, come il conoscente di Emanuele Notarbartolo di San Giovanni (Palermo, 23 febbraio 1834 – Termini Imerese, 1º febbraio 1893) un banchiere e politico italiano, considerato la prima vittima eccellente di Cosa Nostra in Italia.
Certo non potevano mancare le interviste a vittime illustri e dirette della Mafia come il giudice Paolo Borsellino, ucciso poco dopo Giovanni Falcone, di cui pure c’è l’intervista, o il giudice Rosario Livitino.
È stato colto, inoltre, il valore di giornalisti che per dovere di cronaca si sono esposti ai rischi di chi si oppone a certa violenza, cadendo in nome della libertà di parola. Troverete per questo l’intervista a Giuseppe Impastato (Cinisi, 5 gennaio 1948 – Cinisi, 9 maggio 1978), giornalista, conduttore radiofonico e attivista italiano, membro di Democrazia Proletaria e noto per le sue denunce contro le attività di Cosa Nostra, a seguito delle quali fu assassinato il 9 maggio 1978, e a Mauro De Mauro, (Foggia, 6 settembre 1921 – Palermo, 16 settembre 1970 ) giornalista italiano, rapito da Cosa nostra e mai più ritrovato, perché cercava la verità sulla morte del Presidente dell’ENI, Enrico Mattei.
A sorpresa, però, sono arrivate due interviste a personaggi della Mafia, come Frank Costello, pseudonimo di Francesco Castiglia (Cassano allo Ionio, 26 gennaio 1891 – New York, 18 febbraio 1973), mafioso italiano naturalizzato statunitense legato a Cosa nostra statunitense, che fu soprannominato «primo ministro della malavita» dalla stampa statunitense, e Salvatore Riina (Corleone, 16 novembre 1930 – Parma, 17 novembre 2017), noto boss di Cosa nostra, considerato il capo dell’organizzazione dal 1982 fino al suo arresto, avvenuto il 15 gennaio 1993; l’intervista a quest’ultimo è condotta con un tono distaccato, ma scevro di alcuna volontà accusatoria, perché le domande vengono rivolte non tanto a un crudele assassino, quanto a un uomo con le sue sofferenze.
È con lo stesso entusiasmo dei ragazzi che le hanno realizzate che vi invito a leggere le loro interviste, perché racchiudono pensieri delicati e proteggono la speranza che i giovani di oggi, gli studenti, i nostri ragazzi, in futuro avranno il coraggio di dire no alla Mafia e di lottare per la giustizia e la legalità.
Professoressa Anna Di Colandrea
INTERVISTA IMPOSSIBILE A PEPPINO IMPASTATO
Mattia: “Buongiorno signor Impastato, è un vero onore poterle fare questa intervista. Lei ha segnato la vita di molte persone ed è un esempio per molti anche dopo tutto questo tempo che è passato dalla sua morte.”
Peppino: “Buongiorno a lei signor De Angelis. La ringrazio molto per le sue parole. Possiamo darci del “tu”? Non amo molto tutto questo essere formale. Siamo tutti uguali!”
Mattia: “Certamente, per me va benissimo. Parto con la prima domanda: perché hai deciso di non stare in silenzio e hai avuto il coraggio di parlare?”
Peppino: “Ho deciso di parlare perché ho visto morire mio zio, che era un boss mafioso della fine degli anni ’70.”
Mattia: “E questo fatto come ha inciso sulla tua decisione di parlare?”
Peppino: “Questo fatto mi ha segnato profondamente, perché ho scoperto che in realtà è stato ucciso e non è morto di morte naturale.”
Mattia: “Quindi hai avuto paura?”
Peppino: “Sì, ho avuto paura di quel mondo, per me e per la mia famiglia.”
Mattia: “Purtroppo, alla fine, come sappiamo, sei stato ucciso proprio per non essere rimasto in silenzio. Sei stato orgoglioso di vedere tutta quella gente al tuo funerale?”
Peppino: “Sì, sono stato molto molto orgoglioso di vedere tutta quella gente. Non tanto per me, quanto per il fatto che ero sicuro di aver lasciato un buon esempio. E per aver incoraggiato le persone a reagire contro la mafia.”
Mattia: “Tra i vari strumenti che utilizzavi per parlare con le persone c’era la radio. Ce ne vorresti parlare?”
Peppino: “Sì, certo. La radio che utilizzavo era Radio Aut. In quel programma radiofonico cercavo di informare le persone di tutte le ingiustizie che la mafia compiva nel nostro territorio.”
Mattia: “Quindi la radio è stata un ottimo strumento. Cosa ne pensi invece della stampa?”
Peppino: “La radio è stata molto utile perché era uno strumento illegale che nessuno poteva controllare. La stampa, invece, purtroppo, era molto influenzata e controllata dai politici corrotti e dai boss mafiosi.”
Mattia: “Come sai, hanno fatto un film sulla tua vita, intitolato “I CENTO PASSI”. Che cosa ne pensi del film?”
Peppino: “Penso che, anche se ci sono delle imprecisioni importanti, è un ottimo modo per tenere vivo il mio messaggio anche tra i giovani di oggi.”
Mattia: “Di quali imprecisioni parli?”
Peppino: “Qualcosa manca. Io avrei aggiunto più scene sugli scontri tra la polizia e gli studenti dell’Università di Palermo ed il viaggio di mio padre a New York. Rimane comunque un capolavoro.”
Mattia: “Che messaggio vuoi lasciare ai giovani di oggi?”
Peppino: “Lo squilibrio c’è sempre stato e sempre ci sarà. Purtroppo tra nord e sud continuano ad esserci grandi disuguaglianze che non permettono ai meridionali di evitare di trasferirsi al nord e di poter concentrare invece la propria vita nel loro luogo di nascita. Il mio desiderio e consiglio è quello di dire ai giovani del sud di provare a resistere nel luogo dove sono nati e di combattere con le unghie e con i denti per costruire un futuro migliore nella loro terra. E di provare con tutte le forze a dire sempre NO alla mafia! In qualsiasi forma essa si manifesta!”
Mattia: “Grazie tantissimo per essere stato disponibile a dedicarci il tuo tempo. A presto Peppino!”
Peppino: “Grazie a te per avermi permesso di parlare con i giovani del nuovo millennio!”
Mattia De Angelis
Intervista a Giovanni Falcone
Salve signor Falcone, è un piacere conoscerla. Non ha avuto paura di essere attaccato dalla mafia quando svolgeva il suo lavoro?
Essendo un magistrato antimafia ero consapevole di cosa sarebbe potuto accadermi, però ero motivato dalla voglia di fare giustizia per il bene dei cittadini.
Quando è entrato in magistratura?
Sono entrato in magistratura vincendo un concorso nel 1964.
Cosa ne pensa del suo lavoro svolto? È soddisfatto o pensa che avrebbe potuto fare di meglio?
Sono contento di aver contribuito alla caccia dei mafiosi d’Italia però sono convinto che avrei potuto fare di meglio.
Si sarebbe mai immaginato di diventare così conosciuto dopo la sua morte?
No, non me lo sarei mai aspettato, ma sono contento di ciò perché significa che sono riuscito a lasciare il segno nella storia e ad aiutare i cittadini italiani a combattere queste organizzazioni criminali.
Qual è stato il mafioso più importante con cui ha avuto a che fare?
Tommaso Buscetta penso sia stato il più importante; quando lo catturammo lui si pentì dando delle informazioni preziosissime che diedero una svolta all’indagine su “Cosa Nostra”. Fu importante anche perché ci aprì gli occhi su ciò che la mafia aveva fatto e che fa tuttora Senza Tommaso non avremmo mai potuto arrestare tutti quei criminali.
Quanti criminali è riuscito a portare in tribunale?
I criminali che ho portato in tribunale sono veramente tanti, non ti saprei dire il numero esatto, però so dirti che nel Maxiprocesso di Palermo siamo riusciti a pronunciare 360 condanne verso dei mafiosi di “Cosa Nostra”
Ma è sempre riuscito a vincere le cause contro i mafiosi?
No, molte volte capitava di non vincere delle cause; magari non c’erano abbastanza prove per incriminarli oppure a volte certi agenti o testimoni venivano corrotti”
Ha mai pensato di avere dei figli nonostante il suo lavoro pericoloso?
No, non ho mai voluto avere dei figli, ero consapevole del rischio che diventassero orfani già da piccoli visto che in questo lavoro si rischia di essere attaccati molto spesso.
Quando e come è morto?
Sono morto il 23 maggio 1992 mentre andavo all’aeroporto con la macchina. I mafiosi hanno fatto esplodere 500 chili di tritolo posizionati in un acquedotto sotto il ponte sul quale stavo passando; purtroppo, oltre a me è morta anche tutta la scorta che aveva l’incarico di proteggere me e la mia famiglia.
Se potesse tornare indietro, cosa farebbe che non ha fatto prima?
Penso che mi sarei concentrato di più nel trovare delle prove per incriminare i mafiosi, in modo da non farne assolvere nessuno. Inoltre, penso che mi sarei dovuto concentrare di più sulla mia vita personale, stando di più con mia moglie che per colpa del mio lavoro è morta.
Grazie mille per il suo tempo signor Falcone. E’ stato un piacere.
Emanuele Perego e Fabio Di Rella
Intervista ad Agnese Piraino Leto
Agnese, cosa si ricorda della sua morte?
Mi ricordo che stavo nel mio appartamento a pensare al motivo della morte di mio marito. Ad un certo punto ho avuto uno dei miei frequenti spasmi e dopo un forte dolore al petto mi sono accasciata a terra e ho capito che finalmente mi sarei riunita a mio marito.
Da quanto sapeva di avere questa malattia?
Lo sapevo già da qualche anno e avevo informato anche i miei figli di questa cosa che mi faceva soffrire ogni giorno di più.
Cosa l’ha fatta andare avanti?
Il fatto che da quando ho perso mio marito non ho mai smesso di combattere contro la vera malattia, la Mafia, perché non volevo che altre persone dovessero passare quello che ho passato io.
Lei prima ha parlato di figli?
Sì, ho tre figli di cui due femmine e un maschio, che si chiamano Lucia, Fiammetta e Manfredi.
Come ha saputo della morte di suo marito?
Ero a casa insieme ai miei figli a guardare il telegiornale quando ho visto la notizia di un attentato al giudice Borsellino. Allora ho capito che era successo quello che temevo da tempo.
Com’è morto suo marito?
Il 19 luglio 1992, dopo aver pranzato a Villagrazia di Carini con me e i nostri figli Manfredi e Lucia, lui insieme alla sua scorta andò in via D’Amelio, per una visita a sua madre. Lì esplose al suo passaggio una Fiat 126 piena di tritolo, parcheggiata sotto l’abitazione di sua madre, uccidendo oltre a lui anche i cinque agenti di scorta Emanuela Loi, Agostino Catalano, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina.
Ci sono stati sopravvissuti?
Sì, L’unico sopravvissuto fu l’agente Antonino Vullo, salvo solo perchè al momento dell’esplosione stava parcheggiando un’auto della scorta.
Suo marito si aspettava che un giorno sarebbe successo?
Sì, infatti andava sempre in giro con una scorta e diceva sempre che se fosse morto e ci avesse abbandonato gli sarebbe dispiaciuto, ma se questo rischio non lo avesse corso lui allora chi lo avrebbe fatto?, diceva sempre. Io dopo che mi faceva questa domanda gli chiedevo: “Ma perché proprio tu?” , e lui non mi rispondeva mai.
La polizia ha mai scoperto chi sono i colpevoli?
Sì, sono: Salvatore Riina, Giuseppe Graviano, Francesco Tagliavia, Lorenzo Tinnirello, Gaspare Spatuzza, Cristofaro Cannella, Stefano e Domenico Ganci, Giovan Battista Ferrante, Salvatore Biondino, Salvatore Biondo, Salvatore Vitale.
Cosa fanno ora i suoi figli? Seguono le orme del padre o no?
Sì, Lucia è dipendente dell’assessorato regionale alla Sanità mentre Manfredi è commissario di polizia e Fiammetta è assistente sociale.
Grazie per averci aiutato a capire e a ricordare con la sua testimonianza.
Federico Pizio e Omar Ahrrar
INTERVISTA IMPOSSIBILE A PAOLO BORSELLINO
Buongiorno signor Borsellino, è un vero piacere averla qui oggi.
Il piacere è mio.
Possiamo partire con l’intervista?
Certo iniziamo pure!
Ci raccontaci un po’ di lei e della sua famiglia.
Mi chiamo Paolo Emanuele Borsellino, sono nato il 19 gennaio del 1940 a Palermo nel quartiere popolare chiamato Kalsa, dove conobbi il mio grande amico Giovanni Falcone. Sono il secondogenito di Diego Borsellino e di Maria Pia Lepanto, la mia famiglia è composta da mia sorella maggiore Adele, da mio fratello minore Salvatore e dall’ultimogenita Rita.
Quando ha iniziato a studiare Giurisprudenza?
Mi iscrissi all’università degli studi di Palermo l’11 settembre del 1958.
Quando si è laureato?
Mi sono laureato il 27 giugno 1962 con 110 e lode.
Perché le fu concesso l’esonero dal servizio militare di leva?
Mi fu concesso l’esonero perché ero l’unico sostentamento della famiglia poiché nostro padre morì dopo due giorni dalla mia laurea e fummo costretti a mettere in affitto la farmacia di nostro padre a bassissimo prezzo, aspettando che nostra sorella Rita si laureasse in medicina.
Quando è diventato magistrato?
Nel 1963 partecipai a un concorso per entrare nella magistratura italiana e con il voto di 57 divenni il più giovane magistrato d’Italia.
Quando è stato nominato pretore a Mazara del Vallo e a Monreale?
Fui nominato pretore a Mazara del Vallo nel 1967 e a Monreale, dove lavorai insieme a Emanuele Basile, capitano dell’Arma dei Carabinieri.
Quando fu trasferito al Tribunale di Palermo?
Sono stato trasferito nel 1975 e nel 1980 continuai l’indagine sui rapporti tra i mafiosi di Altofonte e Corso dei Mille cominciata dal commissario Boris Giuliano.
Quando le fu assegnata la scorta?
Il 4 maggio 1980 dopo che il capitano Basile venne assassinato.
Cos’è Cosa Nostra?
Cosa Nostra è un’organizzazione criminale di tipo mafioso-terroristico presente in Italia, soprattutto in Sicilia e in più parti del mondo.
Dove è stato istituito un pool antimafia?
Chinnici istituì un pool antimafia presso l’Ufficio istruzione.
Ossia?
Ossia un gruppo di giudici istruttori che si sarebbero occupati esclusivamente dei reati di stampo mafioso e, lavorando in gruppo, avrebbero avuto una visione più chiara e completa del fenomeno mafioso e, di conseguenza, la possibilità di combatterlo più efficacemente. Diminuiva inoltre il rischio che venissero assassinati da Cosa Nostra con lo scopo di riseppellire i segreti scoperti.
Quando è morto?
Sono morto Il 19 luglio 1992: dopo aver pranzato a Villagrazia di Carini con mia moglie Agnese e i miei figli Manfredi e Lucia, mi recai insieme alla mia scorta in via D’Amelio, dove vivevano mia madre e mia sorella Rita. Alle 16:58 una Fiat 126 imbottita di tritolo, parcheggiata sotto l’abitazione di mia madre, detonò al mio passaggio, uccidendo me e anche i cinque agenti di scorta Emanuela Loi, Agostino Catalano, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina.
Grazie mille per il tempo che ci ha dedicato.
Di niente.
Grazie mille e arrivederci.
Giorgio Caccavale e Davide Devizzi
Intervista impossibile ad un conoscente di Emanuele Notarbartolo
Salve, lei conosce Emanuele Notabartolo?
Si, lo conosco
Qual è la relazione tra di voi? Siete amici?
No, non siamo amici, siamo solo conoscenti.
Conosce l’infanzia del signor Notabartolo?
So che viveva in Sicilia e aveva perso i genitori quindi era rimasto orfan.Tempo dopo si era trasferito a Parigi e in Inghilterra.
Sa che lavoro faceva?
So che lavorava al banco di Sicilia.
E come gli andava il lavoro?
Ho saputo che molte persone iniziarono a diventare ostili verso il signor Notabartolo e la maggior parte dei politici che si trovavano lì erano legati in qualche modo alla mafia.
E dopo cosa gli successe?
Nel 1882 lui venne sequestrato ma fu liberato tempo dopo.
Come morì?
Nel 1893 durante un tragitto in treno il signor Notabartolo venne ucciso con 27 pugnalate da Matteo Filippello e Giuseppe Fontana.
Dopo la sua morte successe qualcosa?
Dopo la morte di Emanuele Notabartolo iniziò un grande dibattito tra politica e mafia.
Cosa successe agli assassini del signor Notabartolo?
Nel 1899 venne autorizzato un processo contro Raffaele Palizzolo come il mandante dell’assassinio; nel 1901 venne giudicato colpevole e condannato.
Quindi Raffaele Palizzolo venne condannato e morì?
No, perché nel 1905 venne assolto per insufficienza di prove, probabilmente grazie ai suoi appoggi importanti.
Quindi non fu resa giustizia a quest’uomo che si può considerare la prima di una lunga serie di vittime.
No, purtroppo no e me ne dispiace.
La ringrazio per la sua disponibilità e la saluto. Addio.
Addio.
Juan Enrique Iberos Pinares
Intervista a Rosario Livatino
Ogni anno molte persone muoiono per mano della mafia e tra questi possiamo trovare il giudice Rosario Angelo Livatino, nato il 3 ottobre del 1952 a Canicattì, Agrigento. Fu ucciso dalla Stidda, un’organizzazione criminale siciliana.
Buongiorno, è un piacere averla qui con noi. Come tutti sappiamo lei è stato un famoso giudice ma prima di parlare di ciò vorrei ripercorrere la sua storia… lei nasce il 3 ottobre del 1952 a Canicattì. Come era la Sicilia di quei tempi?
Innanzitutto buongiorno. La Sicilia a quei tempi non era sicuramente la Sicilia di adesso. Allora la mafia poteva agire indisturbata senza che nessuno dicesse niente e questa era una situazione che non ritenevo accettabile.
Lei ha sempre cercato di combattere le ingiustizie o ci fu un avvenimento nella sua vita che gli fece “aprire gli occhi”?
Sin da quando ero piccolo, per quanto mi fosse possibile, cercavo di aiutare i più deboli soprattutto quando il loro male era provocato da una persona prepotente.
Che rapporto ha con la religione?
Sono religioso, d’altronde ai miei tempi la fede era molto importante soprattutto nel sud Italia.
Adesso che sappiamo che è stato un uomo di chiesa, si potrebbe dire che è stata forse l’unione di questi due fattori, l’odio per le ingiustizie e la sua fede in Dio, a spingerla a sfidare la criminalità organizzata?
Certo, ma oltre alla mia fede cristiana che mi imponeva moralmente di agire in soccorso dei più deboli, la prima “spinta” mi fu data dal fatto che mio padre, laureato in legge, mi aiutò ad approcciarmi al mondo della burocrazia, ancor prima della lotta alla mafia.
A proposito di burocrazia, può dirci quali lavori ha svolto prima di diventare giudice?
Come molti sanno sono diventato giudice molto presto, perciò non ho avuto molti lavori prima. Infatti nel 1977 divenni vice direttore dell’Ufficio del Registro di Agrigento fino a che nel 1989 diventai giudice a latere.
Può dirci cosa ha studiato per raggiungere un’occupazione così importante?
Ho studiato Giurisprudenza all’Università degli Studi di Palermo.
Continuando a parlare di mafia, lei in che modo la contrastò?
Il modo migliore in cui io potessi combatterla era la confisca dei beni. Oggi come allora era molto pericoloso, ma io decisi di rischiare, perché secondo me se nessuno avesse mai fatto niente la mafia avrebbe continuato ad agire indisturbata.
Tornando a parlare della sua fede, secondo lei che rapporto hanno i mafiosi con la religione?
Penso che i mafiosi dimostrino un finto legame con la chiesa per mentire agli altri e a loro stessi perché sanno di sbagliare. Trovo che sia un modo vigliacco e poco sensato di usare l’immagine di Dio
Quando ha visto avvicinarsi i quattro killer cosa ha pensato, credeva che quel momento sarebbe arrivato o non se lo aspettava?
Quando la mia auto è stata speronata ero consapevole di ciò che stava per accadere. D’altronde ricoprivo un ruolo scomodo nei confronti della mafia, ma speravo che quel momento sarebbe arrivato più tardi.
Pensa sia cambiata la situazione della mafia in Italia?
Sicuramente la situazione è cambiata, perché ai miei tempi la mafia non si nascondeva, mentre adesso molti mafiosi sono latitanti e devono vivere nei loro bunker.
La sua morte ha scosso molte persone tanto che ha spinto molti registi e scrittori a scrivere libri e a realizzare film sulla vita. Ciò la rende fiero del suo ruolo nella lotta alla mafia?
Ovviamente sapere che molte persone hanno deciso di raccontare la mia storia mi riempie di gioia perché ho la certezza che il mio messaggio sia arrivato a varie generazioni.
La ringrazio, giudice. È sicuro che il suo messaggio e il suo sacrificio non saranno mai dimenticati.
Lo spero di cuore!
Luca Salerno e Matteo Marrosu
Intervista a Mauro De Mauro
Buongiorno signor De Mauro, quando e dove nacque?
Nacqui a Foggia il 6 settembre 1921.
Dopo aver partecipato alla Seconda Guerra Mondiale come fascista, cosa decise di fare?
Mi trasferii a Palermo con la mia famiglia e iniziai la mia carriera giornalistica.
Per quali giornali lavorava? Quale fu il suo primo incarico?
Lavorai per “Il tempo di Sicilia”, “Il mattino di Sicilia” e “L’ora”. Il mio primo incarico fu indagare e ricostruire la scena della morte del presidente dell’Eni, Mattei; questo incarico mi fu assegnato dal regista Franco Rosi, per poi realizzare un film.
La sua deformazione al naso, a cosa è dovuta?
Durante la Seconda Guerra Mondiale fui malmenato dai partigiani che mi ruppero il naso.
Ha qualche fratello o sorella?
Sì, avevo un fratello minore che era un aviatore, che purtroppo morì in un incidente aereo a Novara nel 1944. Inoltre avevo un altro fratello, Tullio, un linguista, che fu anche il ministro della pubblica istruzione.
Per quale ragione fu perseguitato dalla mafia?
Fui perseguitato dalla mafia dopo aver pubblicato sui giornali alcuni articoli riguardanti la struttura e i crimini commessi dalla mafia.
Dato che fu perseguitato dalla mafia fin dal 1960, perché lo uccisero solo nel 1970, e non prima?
Penso che la mafia mi abbia “perdonato” e non ucciso subito perché la mia morte avrebbe destato troppi sospetti.
Come e quando fu rapito?
Fui rapito la sera del 16 settembre 1970, due giorni prima del matrimonio di mia figlia, mentre tornavo nella mia casa a Palermo. Fui circondato da tre persone che mi fecero salire su una macchina blu e mi portarono via.
Dopo il rapimento i suoi conoscenti persero le sue tracce?
Prima di essere rapito vidi per l’ultima volta mia figlia e poi più nessuno.
Solamente la sera dopo, la BMW blu con cui mi avevano rapito, venne
ritrovata in via Pietro d’Asaro solo che gli artificieri non trovarono alcun
elemento utile all’indagine.
Chi furono coloro che indagarono sulla sua morte?
I principali investigatori furono Carlo Alberto Dalla Chiesa, ucciso dalla
mafia nel 1982, e Boris Giuliano, assassinato dalla mafia nel 1979.
Cosa ha imparato dalla sua esperienza?
Ho capito che purtroppo la mafia è un male radicato nella società e che si può sconfiggere solo combattendolo tutti insieme.
Grazie signor De Mauro, arrivederci.
Grazie a lei, arrivederci.
Alessandro Masi – Francesco Carella
Intervista a Frank Costello
Buongiorno signor Costello, è un onore poterle fare questa intervista.
Buongiorno anche a lei.
Partiamo con la prima domanda, dove è nato e vissuto?
Sono nato a Lauropoli frazione di Cassano allo Ionio ma da bambino sono emigrato in
America con mia madre e mia sorella.
Come ha iniziato a fare il criminale?
Quando sono arrivato a New York sono entrato in contatto con piccole bande di criminalità minorile.
Quando è stato arrestato per la prima volta?
Sono stato arrestato per la prima volta nel 1908 per una rapina e anche nel 1912 sempre per una rapina.
Quando si è sposato?
Mi sono sposato dopo che sono stato scarcerato nel 1915 con una ragazza ebrea di nome Lauretta Giegerman.
Aveva qualche società?
Sì, nel 1919 con un mio socio creammo una società per la produzione di bambole e lamette da barba che utilizzavamo per produrre slot machines.
È vero che vendeva alcolici e stupefacenti?
Sì, è vero. Iniziai nel 1920 insieme ad un gangster di nome Lucky Luciano.
Passammo a servizio di un altro gangster ebreo chiamato Arnold Rothstin. Insieme ci occupavamo della vendita degli alcolici e degli stupefacenti. Nel 1924 mi associai anche a due gangster che possedevano una banda criminale Irlandese di un quartiere degli Stati Uniti.
Cos’è Cosa Nostra e com’è composta?
Cosa Nostra è un nome per sostituire organizzazione mafiosa e viene usato soprattutto in Sicilia. Cosa Nostra è organizzata da una “famiglia” che controlla zone di città.
Cosa successe dopo l’uccisione dei due boss di Cosa Nostra?
Nel 1932 dopo questo avvenimento diventai collaboratore molto stretto di Lucky Luciano lasciandogli il controllo del gioco d’azzardo a Manhattan.
Per quale motivo fu arrestato nel 1936?
Fui arrestato per sfruttamento di prostituzione e fui condannato dai 30 ai 50 anni di carcere.
Chi conduceva le indagini nel 1951 sul crimine organizzato in America?
Fui interrogato su questo crimine e ciò che dissi andò anche in televisione.
Nello stesso anno una persona di nome Willie Moretti venne assassinato dinanzi alla commissione d’inchiesta. Io rifiutai di rispondere alle domande poste dalla commissione e fui condannato a 18 mesi di carcere.
Fu per caso arrestato per evasione fiscale?
Sì, nel 1954 fui condannato a 5 anni per evasione fiscale, anche se feci solo 1 anno perchè la sentenza venne annullata. Anche nel 1957 fui arrestato sempre per evasione fiscale ma subito dopo venni scarcerato su cauzione.
Grazie per aver risposto alle domande. È stato un piacere averla intervistata.
Di nulla.
Kevin Dodaj e Sanchith Manokarano
Intervista impossibile a Salvatore Riina
Come si chiama?
Salvatore Riina, soprannominato “Totò u curtu” o anche “la belva” per la mia bassa statura.
Dove e quando è nato?
Sono nato a Corleone il 16 novembre 1930
È sposato? Ha una famiglia?
Sono sposato con Ninetta Bagarella e ho 4 figli di nome: Maria Concetta, Giovanni Francesco, Giuseppe Salvatore e Lucia.
Ci parli un po’ della sua infanzia, vuole?
Sono cresciuto in una famiglia di contadini semplici, a 13 anni ho perso mio padre e mio fratello a seguito di un’ esplosione e a soli 19 anni ho subito la mia prima condanna di 12 anni per aver ucciso un mio coetaneo durante una rissa.
Che cosa ha fatto nella vita?
Sono stato il Boss indiscusso di Cosa Nostra (mafia siciliana) e sono considerato il suo organizzatore.
Che cosa l’ha portato ad avvicinarsi alla mafia?
Il motivo più importante è stata l’assenza di una figura paterna e di mio fratello minore. In quegli anni iniziai a frequentare Luciano Liggio, luogotenente del capomafia corleonese Michele Navarra, che mi inserì negli ambienti criminali.
Quante volte è finito in carcere e quando?
Sono finito in carcere per la prima volta a 19 anni, a cui seguirono moltissime condanne all’ergastolo (in totale 26) per decine di omicidi.
Da chi era composta “Cosa Nostra”?
L’organizzazione era composta oltre che da me, anche da Bernardo Provenzano, dai fratelli Calogero e Leoluca Bagarella.
Ha mai avuto problemi di salute?
Si, nella primavera del 2003 ho subito un intervento chirurgico al cuore e a maggio di quello stesso anno fui ricoverato per infarto. Venni ricoverato successivamente per problemi cardiaci, negli anni: 2006, 2013, 2014 e 2017.
Come avete progettato l’attentato a Falcone, chi erano i complici?
Iosono stato uno dei tanti responsabili dell’attentato al magistrato. Nei pressi di Capaci, un comune italiano della città metropolitana di Palermo in Sicilia, abbiamo fatto esplodere una bomba composta da 500 Kg di tritolo mentre il giudice, la moglie (Francesca Morvillo) e gli agenti di polizia ci transitavano sopra: non è sopravvissuto nessuno.
Come è morto?
Ero ricoverato nel reparto detenuti dell’ospedale Maggiore di Parma, in regime di 41 bis (il carcere duro per i reclusi più pericolosi) ormai da 24 anni. Dopo cinque giorni in stato di coma farmacologico, alle 03:37 della mattina sono deceduto per non aver superato gli ultimi due interventi al cuore.
Angelo Salerno, Michele Cadario