Alla scoperta della realtà siriana
Storie di sopravvivenza, orgoglio, fratellanza e rinascita tra morte e distruzione in un paese che vive il dramma della guerra: gli studenti dell’Itis Einstein incontrano la dott.ssa Maria Acqua Simi e raccolgono la sua testimonianza di giornalista invitata in Siria.
“Non arrenderti, rischieresti di farlo un’ora prima del miracolo”: con questo antico proverbio arabo, ascoltato da uno stringer, una guida-interprete locale, la dott.ssa Maria Acqua Simi ha voluto introdurre il suo incontro, avvenuto il 28 febbraio davanti alla platea gremita dell’auditorium dell’Omnicomprensivo, per far capire a tutti fin da subito che le persone che vivono nella disgrazia sotto i bombardamenti in Siria non si sono rassegnate alla disperazione, ma resistono con coraggio e stanno ricostruendo le proprie città martoriate e le proprie vite.
Giornalista, esperta di affari esteri, tornata di recente da un reportage in Siria, prima di portarci le varie testimonianze raccolte durante il suo viaggio, ci ha spiegato la situazione socio-politica della zona.
Il quadro attuale è stato innescato dalle primavere Arabe che, nel 2011, partendo dalla Tunisia, hanno coinvolto poi Iraq, Iran, Siria, Libano e tutto il Nord Africa. Le primavere Arabe sono state rivolte popolari molto violente, scoppiate con l’obiettivo di cacciare dal potere i dittatori. Queste rivolte si sono concluse generalmente con l’elezione di nuovi presidenti (Rais), in Siria invece ancora oggi è al comando il dittatore Assad.
Va tenuto conto che nel mondo islamico c’è una grande divisione religiosa e sociale tra due correnti, gli SCIITI e SUNNITI. A seconda dell’appartenenza religiosa dei presidenti dei vari stati sono sorte alleanze tra i paesi del Golfo (di appartenenza Sunnita) e la Siria e l’Iran (entrambi di appartenenza Sciita). Così, in questa situazione complessa e conflittuale, alcune forze e alcuni leader hanno tentato di salire al potere. Fra essi il più noto è ABU BAKR AL BAGHDADI, che vuole re-instaurare il califfato per riportare (a detta sua) l’Islam al suo antico splendore.
Comincia così nel giugno del 2014 a conquistare con la forza armata territori dell’Iraq e della Siria, autoproclamandosi Califfo dello stato Islamico (ISIS). L’espansione dell’Isis è notevole, non solo per la conquista brutale che sta compiendo, ma soprattutto per la coalizzazione con altre forze armate che aspirano al potere. La conquista è partita da RAQQA con l’uccisione di molti civili e l’opportunità concessa ad altri di convertirsi sotto minaccia di morte.
Uno dei popoli che sta subendo un vero e proprio sterminio è quello degli YAZIDI, che vive sulle catene montuose dell’Iraq. A questo popolo non viene neanche data la possibilità di convertirsi, poiché professa una religione il cui credo è rivolto a un angelo caduto sulla terra che l’Isis ritiene sia Lucifero: a causa di ciò gli Yazidi stanno subendo un genocidio. I bambini all’età di 5-7 anni vengono rapiti e istruiti a combattere per il califfato seguendo le “regole” del Corano. Molti giovani Yazidi sono scappati sulle montagne circostanti per non essere rapiti, ma stanno morendo perché non c’è acqua e nessun aiuto umanitario riesce a fornir loro rifornimenti, causa la zona impervia. Molti stanno scappando nella parte irachena del Kurdistan, dove i Kurdi hanno formato un esercito per cercare di proteggersi dall’Isis e accolgono tutti coloro che scappano dalla barbarie dell’Isis.
Ci è stato spiegato che l’Isis, oltre a sostenersi economicamente con i proventi della vendita del petrolio “in nero” (ovvero fuori dai canali ufficiali), il contrabbando di reperti archeologici Romani, ad esempio quelli profanati dal sito archeologico di Palmira, vive soprattutto con i finanziamenti economici e le armi che riceve dai paesi “ricchi”, come il sultanato dell’Oman, il Kuwait, l’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi, ma in primo luogo dalla Turchia. Siamo tutti rimasti molto scandalizzati dal comportamento doganale della Turchia: ai suoi confini ci sono lunghe code e attese per il controllo delle merci sui convogli umanitari, mentre i furgoni turchi carichi di armi destinate al califfato vengono fatti passare immediatamente.
La dottoressa si è profusa in ciò che più ci voleva trasmettere, ovvero le testimonianze di chi vive la guerra in Siria. Ci ha raccontato che l’inflazione è salita alle stelle e che se uno stipendio medio si aggira attorno ai 20 $, una bottiglietta d’acqua sigillata costa 8 $. Si è così costretti a raccogliere l’acqua piovana per sopravvivere, poiché le centrali idriche sono state distrutte dai bombardamenti. In Siria c’è un buio pesto e una stellata pazzesca, data la mancanza di elettricità, luce e riscaldamento a causa dei bombardamenti. Ci ha raccontato dei mercanti che per vendere la loro verdura in centro ad Aleppo devono attraversare una cinquantina degli oltre 1200 check-point della città e, a ogni controllo, viene loro sottratta parte della merce dai militari, anch’essi stremati da sei anni di guerra.
Ci ha poi raccontato di Khalil che, con la riconquista di Aleppo da parte delle forze regolari, è riuscito a riaprire la sua pasticceria con l’obiettivo di poter sposare la sua fidanzata e ricostruire la sua casa. Ebbene sì, ricostruire, perché i Siriani sono costretti a scappare, ma orgogliosi come sono vogliono rimanere e ricostruire. Ci è stato portato l’esempio di tre famiglie che la giornalista ha conosciuto, le quali una volta appresa la notizia della liberazione di Aleppo sono tornate a vivere nella loro città dalla Germania. Poi, commossa, ci ha raccontato di Rudy, una bambina di sette anni che a dicembre dello scorso anno è stata colpita al cervello da un chiodo inserito in una bomba “artigianale”, volutamente costruita per fare ancora più male inserendo pezzi metallici; l’ha conosciuta in un ospedale bombardato gestito da suore tanto anziane quanto grintose.
La nostra relatrice è rimasta colpita da quanto sia forte la fraternità di persone appartenenti a religioni differenti che si sono integrate per aiutarsi e difendersi dall’odio scatenato in guerra. Ha inoltre sottolineato che nonostante quello che dicono i media, ovvero che ad Aleppo non ci sono più ospedali perché ormai tutti bombardati, in quelle strutture disastrate si lotta ancora per sconfiggere la morte con l’aiuto di preti, suore e pochi coraggiosi medici rimasti in città.
Quando c’è un’intuizione di bene reciproco, due persone, anche se appartenenti a religioni differenti, possono conversare. Dove tutto è distrutto c’è comunque gente che non rinuncia alla vita normale e questo lo hanno dimostrato due mamme, entrambe con un figlio sordomuto, che non sapevano come gestire. Queste incontrandosi hanno trovato una palestra abbandonata e degli operatori disponibili, dando vita a un centro dove ora sono curati i bimbi disabili, non badando alla differenza di religione. I terroristi islamici possono anche distruggere ogni cosa, ma non possono togliere la speranza delle persone di migliorare la situazione.
La dott.ssa Simi ci ha parlato anche con molto trasporto del suo incontro diplomatico avvenuto con il vescovo di Aleppo, il quale alla domanda: “Cosa possiamo fare di concreto per aiutarvi?”, ha risposto che dobbiamo fare bene il nostro lavoro e tutte le azioni quotidiane, pensando che noi abbiamo la fortuna di poterle fare. L’ha pregata poi di portare con sé la verità su come stanno realmente le cose in Siria.
Per concludere il convegno, ci ha mostrato una foto di alcune donne che spazzano il pavimento di un palazzo diroccato ma abitato, quale simbolo della ricostruzione e della voglia di vivere.
Miriam Messina, Andrea Ottorini