Viaggio nella mente de IL GIOVANE HOLDEN, di J.D. Salinger
Cosa scriverebbe Holden Caulfield, il protagonista del celebre romanzo di J.D. Salinger, se, al termine delle vicende narrate dal libro, impugnasse carta e penna per rivolgersi al fratello maggiore D.B., presenza-assenza costante di tutto il romanzo? Click! vi propone una lettera che è sia un esercizio di stile, sia un viaggio nella mente di uno dei personaggi più affascinanti e controversi della letteratura novecentesca.
«Non raccontate mai niente a nessuno. Se lo fate, finisce che sentite la mancanza di tutti»
Il giovane Holden, J.D. Salinger
Caro D.B.,
da quando mi hanno buttato fuori da quel dannato istituto mi sono successe cose davvero strane, e ora te le racconterò.
La prima sera dall’espulsione, dopo essere andato a salutare il prof. di storia, non mi andava proprio giù di addormentarmi, così restai lì a parlare con quello schifoso del mio vicino di stanza, Ackley. Ad ogni modo, quando rientrò l’altro, Stradlater, mi disse che sarebbe uscito con Jane da lì a pochi minuti e, conoscendo quel bastardo, l’avrebbe stantuffata tutta. Ricordi quanto tenevo a Jane? Ecco, mi saltavano i nervi se pensavo a quel pallone gonfiato con Jane, e fu così che ci prendemmo a cazzotti.
Ero talmente nervoso che me ne andai subito da quello schifo di scuola, senza neanche prima aspettare che i nostri genitori venissero a sapere della mia dannata espulsione dal preside. E così andai in un hotel di New York prima di tornare a casa, per non rischiarla.
Quella sera ballai come un matto con tre racchione in un night-club, e quasi me ne innamorai di una di quelle, forse per il suo perfetto modo di ballare. Mi piace ballare, so riconoscere quando una ha buon ballo.
A ogni modo, rientrato in hotel incontrai un uomo che mi convinse a farmi mandare su in camera una prostituta per cinque dollari, ma alla fine andò male e io le buscai pure da quel tizio, maledetto!
Poi uscii con la vecchia Sully, ma andò male anche con lei.
A ogni modo avevo sempre una voglia matta di parlare con la piccola Phoebe, così andai a casa da lei, senza farmi scovare da mamma e papà. Le dissi che sarei partito per l’Ovest e che avrei trovato lì un lavoro, ma lei non voleva saperne, così decisi di restare.
Ora invece sono qui, ricoverato in un dannatissimo ospedale psichiatrico come già saprai, eccetera eccetera.
Comunque, vecchio mio, ora la smetto con le mie stupide storie e ti parlo un po’ di me. Come già sai non mi sono mai andati giù i film, e ancora li odio, non me ne guardo mai uno.
Questo probabilmente lo devo alle mie manie di realismo e al dover capire cos’è la vita, dunque non sopporto tutto ciò che porta fuori dalla realtà.
Sempre per questo motivo mi pongo spesso delle domande strane, tipo che farebbe un moccioso alla sua mammina. Tipo le anitre di Central Park: quando passo da quel laghetto mi chiedo sempre che diavolo facciano durante l’inverno, mi chiedo se volino via o se le prenda un camion e se le porta allo zoo o vattelappesca.
D’altronde io mi considero un “acchiappatore nella segale”, cerco sempre di trovare un modo per riuscire nei miei intenti pur in mezzo a mille discordie e spesso per questo non mi accontento, e proprio per questo mi pare che nessuno riesca a capirmi.
Ah, tornando a parlare del Pencey, non mi sono mai impegnato almeno quanto erano le mie capacità, quindi penso che stavolta l’hanno fatta proprio giusta a cacciarmi via.
Adesso starei a lavorare in qualche paese dell’Ovest, avrei una nuova vita, sarei un nuovo Holden, se solo non fosse per la vecchia Phoebe, tanto sveglia, una sagoma, non riuscivo proprio a staccarmene.
Invece sono qui a scriverti questo schifo di lettera. Mi ha fatto piacere però scriverla, non per le sciocchezze che ho buttato giù, ma perché mi sembra di averti qui davanti, ora. Che stranezza, scrivere.
Caro D.B., stammi bene, io sto tornando in forma,
Tuo Holden
Melissa Rigolli